Le impronte digitali di Angelo Ciarelli, in carcere con l’accusa di aver sparato e ucciso a Tommaso Cagnetta lunedì scorso, lo incastrano e lo smentiscono. Il rom 38enne aveva negato da subito, già dai primi interrogatori della squadra mobile, di essere presente nel ‘ferro di cavallo’ di via Tavo quando un gruppo di persone, tra cui la vittima, era corsa dietro alla Clio di una coppia tossicodipendente, in fuga dopo non aver pagato una dose di cocaina ad una spacciatrice. Lo zingaro, che tre testimoni hanno visto sparare all’automobile colpendo per errore Cagnetta, ai parenti aveva detto di essere al mare quel pomeriggio, mentre il suo avvocato, Giancarlo De Marco, era stato vago dopo aver assistito all’interrogatorio con il gip Maria Carla Sacco: “Non mi ricordo se mi ha detto se era presente al ‘ferro di cavallo’”. E invece i primi risultati degli accertamenti condotti dalla polizia scientifica dicono che Ciarelli non solo era presente nel piazzale di Rancitelli, ma ha preso attivamente parte alla ‘caccia al tossico’. Sulla Clio sequestrata, infatti, sono state rinvenute le impronte digitali di Angelo Ciarelli, oltre a quelle della spacciatrice che ha dato l’allarme e quelle di altri individui ancora non identificate, rintracciate sul cofano anteriore, come se la folla si fosse barricata davanti all’utilitaria. Le mani del principale sospettato per il delitto hanno toccato la portiera del conducente, ciò lascia presumere che Ciarelli sia uno di quelli che ha cercato di bloccare i due fuggitivi nonostante la vettura già in movimento. Le impronte della spacciatrice rom, invece, sono state ritrovate sul lunotto posteriore.
Pistole diverse. Si attendevano con ansia anche i risultati della perizia condotta dall’esperto di balistico Gaetani Rizza sulla pallottola estratta dal ventre di Cagnetta, per scoprire se a sparare è stata la stessa pistola utilizzata per uccidere l’ultras 24enne Domenico Rigante: per quell’omicidio è in carcere Massimo Ciarelli, fratello 29enne del presunto omicida di Cagnetta. Ma il gabinetto interregionale della Scientifica di Ancona ha trovato una coincidenza negativa, ovvero non sono state le stesse armi, seppur il calibro 38 coincide. Una 38, infatti, sparò la sera del primo maggio in via Polacchi, una 38 ha ucciso Cagnetta una settimana fa e 13 proiettili calibro 38 special sono stati trovati nascosti in un tombino dinanzi la casa dei due fratelli Ciarelli in Vicolo Moro, sempre nel quartiere Rancitelli. A questo punto le armi da ritrovare sono due: per mettere fine ad una ricerca durata troppo a lungo sono state perquisite a fondo e ripetutamente diverse proprietà appartenenti al clan nomade, senza successo.
E la caccia alle armi dei Ciarelli si estende a tre pistole: si cerca anche quella utilizzata da Pasquale Di Giovanni, cugino di Massimo e Angelo e stalliere di famiglia, in carcere per aver sparato in faccia ad una prostituta nigeriana la notte del 25 aprile. Contro la donna è stata usata una calibro 7.65, pistola più piccola dei revolver mortali a Rigante e Cagnetta. Ma i testimoni dell’agguato al ‘gemellone’, compiuto da Massimo e altri 5 ragazzi della famiglia Ciarelli, hanno riferito che oltre a quella che ha sparato al fianco di Rigante, un’altra arma più piccola è stata puntata in faccia ai presenti per tenerli a bada mentre Domenico veniva ucciso.
Daniele Galli