Pescara. Rito abbreviato per Davide Troilo, il 33enne accusato di omicidio volontario pluriaggravato per avere ucciso a coltellate, il 2 dicembre 2016 a Pescara, la sua ex fidanzata Jennifer Sterlecchini di 26 anni, e perizia psichiatrica per lo stesso imputato, che sulla base di una perizia di parte, già depositata, sarebbe risultato “parzialmente capace di intendere e di volere al momento del fatto”.
È quanto ha deciso, nel tribunale di Pescara, il gup Nicola Colantonio, che ha anche ammesso in qualità di parti civili la madre e il fratello della vittima, oggi presenti in aula e assistiti dai legali Rossella Gasbarri e Roberto Serino, insieme alla Regione Abruzzo, al Comune di Pescara e all’associazione Ananke, attiva nella lotta contro la violenza sulle donne.
Questa mattina, alla prima udienza del processo, ha preso parte anche l’imputato, difeso dall’avvocato Giancarlo De Marco: vestito con una giacca blu e circondato per tutto il tempo dagli agenti della polizia penitenziaria, Troilo ha tenuto la testa bassa durante le oltre due ore di udienza e non ha mai incrociato lo sguardo della madre e del fratello della vittima. Presenti anche la nonna di Jennifer e un folto gruppo di amiche e amici della ragazza uccisa.
L’udienza è stata aggiornata al prossimo 28 settembre, in quell’occasione si procederà alla nomina del perito che effettuerà la perizia psichiatrica.
“Siamo fiduciosi che alla fine l’imputato ottenga la giusta punizione. In aula c’è stato un clima molto sereno, soprattutto grazie ai familiari di Jennifer che hanno tenuto un comportamento estremamente dignitoso”. E’ il commento di Rossella Gasbarri, avvocato di parte civile per conto della madre della vittima, Fabiola Bacci, al termine della prima udienza del procedimento a carico di Davide Troilo.
Sulla stessa lunghezza d’onda Roberto Serino, legale di Jonathan Sterlecchini, fratello di Jennifer. “Sia noi che i familiari – dice Serino al termine della prima udienza preliminare – abbiamo la massima fiducia nella giustizia”.
Giancarlo De Marco, legale di Davide Troilo, ritiene che “sarebbe un’ingiustizia se il mio assistito prendesse 30 anni, in quanto non sussistono le aggravanti” ovvero la premeditazione e i futili motivi. Il legale dell’imputato spiega inoltre che “la perizia di parte evidenzia come Troilo fosse solo parzialmente capace di intendere e di volere nel momento dell’omicidio, per una lunga serie di cause legata a una personalità particolare”. Un aspetto che adesso dovrà essere approfondito dal perito che sarà nominato dal giudice il prossimo 28 settembre. De Marco si era anche opposto alle richieste di costituzione di parte civile del Comune di Pescara, della Regione Abruzzo e dell’associazione Ananke, ma il gup ha accolto le richieste.
“Mi sono opposto in quanto la Regione ha presentato delle argomentazioni molto generiche legate a un presunto danno d’immagine, come pure il Comune, la cui richiesta sarebbe stata plausibile se almeno avesse messo in campo delle particolari politiche contro la violenza sulle donne – osserva il legale della difesa – Per quanto riguarda la richiesta dell’associazione Ananke, innanzitutto non si tratta di femminicidio, in quanto in precedenza non c’erano mai stati maltrattamenti o violenze, e dunque non è un delitto di quella tipologia. Al limite avrei compreso la loro costituzione come parte civile – conclude De Marco – qualora avessero precedentemente compiuto un intervento sul caso specifico”.
“Voglio che il giudice pensi se fosse stata sua figlia, dopo averla cresciuta fino a 26 anni”. Così Filomena Paolini, la nonna di Jennifer Sterlecchini, al termine della prima udienza preliminare a Pescara per l’omicidio della nipote.
La donna è rimasta fuori dall’aula, mentre all’interno c’erano la madre e il fratello della vittima, oltre a Davide Troilo, il 33enne accusato di omicidio volontario pluriaggravato per avere ucciso a coltellate, il 2 dicembre 2016, la sua ex fidanzata Jennifer.
“Non mi fa nessun effetto sapere che lui è a pochi metri da me – dice la nonna della vittima – Forse mi fa rabbia, vorrei sapere perché l’ha fatto, ma so già che non ci sono risposte e che lui non potrà mai darci delle risposte”.
La donna spiega di aspettarsi “una sentenza giusta e umana. Questa sentenza per me assume un doppio significato – conclude la nonna di Jennifer – rispetto a quello che lei ha dovuto soffrire, ma deve rappresentare anche un segnale per tutte quelle persone che pensano di poter fare le cose senza avere la pena giusta”.