Si ricompongono uno dopo l’altro i tasselli dell’omicidio Rigante. “Ne mancano sei”, ha detto stamattina in conferenza stampa il capo della Squadra Mobile di Pescara Pier Francesco Muriana. L’uomo che ha condotto le indagini per arrivare a Ciarelli e che è impegnato nel ricomporre il quadro dell’omicidio, si riferisce alle altre sei persone che la sera del primo maggio erano nell’abitazione di via Giambattista Polacchi, che hanno visto quasi certamente chi e come ha partecipato al raid punitivo che ha ucciso Domenico Rigante. Ciò che è certo, a detta del questore Paolo Passamonti, è che a sparare con un revolver calibro 38 special è stato il rom 29enne.
Il raid omicida: la versione della polizia. Muriana e Passamonti, davanti alla famiglia Rigante, hanno ricostruito la vicenda, dalla sera precedente fino all’arresto di Ciarelli, che ieri pomeriggio si è consegnato sentendo puzza di terra bruciata attorno a sé. Si parte dalla sera precedente, quella del 30 aprile, quando una violenta rissa scoppia per le strade del centro storico tra Massimo Ciarelli e Antonio Rigante, uno dei due ‘gemelloni del Villaggio Alcyone”, fratello di Domenico. Scazzottata con molti testimoni, qualcuno sente dire da Ciarelli all’altro: “Ti ammazzo”. Il nomade si reca la stessa notte al Pronto Soccorso per farsi curare escoriazioni e lividi: ne esce con una prognosi di 4 giorni. La mattina seguente va in Questura, a denunciare lo smarrimento del portafogli con i documenti, ma non si esclude che nel parapiglia che ha poi coinvolto anche i due gruppetti attorno a Ciarelli e Antonio Rigante qualcuno possa aver azzardato il furto del portafogli; l’agente che redige il verbale della denuncia consiglia al rom di tornare, certificato medico alla mano, per denunciare l’aggressione, ma Ciarelli dice di essere stato aggredito alle spalle da ignoti e lascia la Questura, senza più ripresentarsi. La vendetta cova fino alla sera: una telefonata di un amico avverte Antonio Rigante che gli zingari, Ciarelli ed alcuni di fuori, lo stanno cercando. Antonio chiama a raccolta gli amici in piazza Grue “per decidere che fare”, spiega Muriana, che per il resto conferma quanto già ricostruito finora: il commando di otto persone raggiunge Antonio in strada, lui scappa e li rincorrono sparandogli addosso, senza prenderlo, e ne perdono le tracce. La caccia all’uomo dello squadrone di Ciarelli arriva nell’abitazione di via Giambattista Polacchi, all’interno Domenico Rigante e
Subito in fuga, passando dal night. “Dopo aver sparato si è messo subito in fuga”, ha detto Muriana. Ma la prima tappa di Ciarelli passa innanzitutto dal night di Silvi a salutare una ballerina rumena, fidanzata o comunque considerata tale e frequentata spesso dal 29enne. “Ci siamo subito diretti sul posto, mezz’ora dopo lo sparo, ma l’abbiamo mancato per dieci minuti”, dice il Questore. La caccia è aperta: e si svolgerà nel Foggiano, a Campobasso, sulla costa abruzzese da Francavilla a Martinsicuro, perquisendo tutti i siti della famiglia nomade, in parte scappata da Pescara. Ciarelli non è preparato alla latitanza, è in giro senza vestiti e senza cibo, quindi la Mobile sa chi pedinare e quali movimenti seguire: dalla ballerina Ciarelli non va, dai parenti nemmeno, ma uno di questi si muove per far scorte di cibo e vestiti. Quella la svolta, ieri mattina, la Polizia fa capire che il cerchio si stringe e che è pronta ad un intervento per stanarlo dal suo covo, e parte la telefonata all’avvocato Valentini, alle 13:00 di ieri: “L’unica telefonata fatta”, garantiscono Passamonti e Muriana, “non c’è stata trattativa, noi non trattiamo”. Fermamente determinati i due uomini di legge: “Avremmo preferito prenderlo ed eravamo pronti a farlo”, sottolinea il capo della Mobile, “consegnarsi è convenuto più a lui che a noi. Gli converrà in tribunale, è convenuto a lui e ai suoi famigliari, perché non rischiavamo noi in un blitz armato e la gente non era
“E’ il mio ultimo giorno da uomo libero”: quando si consegna nelle mani della Polizia Ciarelli pronuncia questa frase, allarga le mani ma non rinuncia al sorriso. Viene portato nel carcere vastese di Torre Sinello, e non nel pescarese San Donato, per ovvi motivi di sicurezza. Lì, questa mattina, il pm titolare dell’inchiesta, Salvatore Campochiaro della Procura di Pescara, lo ha interrogato per la prima volta, e Ciarelli si è avvalso della facoltà di non rispondere. La palla passa ora alla magistratura, ma il compito degli investigatori non finisce, anzi. I nomi degli altri sette del commando li sanno, il quadro dell’agguato è chiaro e sufficiente per incriminarli, ma Muriana aspetta di poter mettere tutti i pezzi al posto giusto per poter dare ad ognuno quello che gli spetta. E per ricostruire la scacchiera, dice: “E’ bene che parli chi grida sete di giustizia, perché chi c’era ha visto molto più di quello che sa: chi sa parli, compia un atto di giustizia in nome di Domenico”. Se Massimo Ciarelli è accusato dell’omicidio di Domenico, del tentato omicidio di Antonio Rigante, di porto abusivo d’armi e di violazione di domicilio, per gli altri sette pende l’accusa di concorso. “Su questi l’attenzione è massima, alcuni sono a Pescara, altri sono andati fuori”, spiega ancora Muriana, pronto a portare avanti la parte tecnica dell’indagine, con degli esperti che analizzeranno la scena del crimine e la Fiat 500 utilizzata e rinvenuta in via Caduti per Servizio, sotto casa del cugino di Massimo Ciarelli: “cercheremo tutte le prove per confermare le accuse”, aggiunge il questore.
Allarme sociale: controlli rinforzati. E lo stesso Passamonti ha confermato un giro di vite sul controllo del territorio cittadino, visto il clima di tensione sociale che si respira in città: “Ringrazio comunque la famiglia Rigante”, che era presente alla conferenza stampa, alla fine della quale si è riunita privatamente con il questore, “per aver contribuito a tenere la situazione più tranquilla, così come quella parte di tifoseria che stamattina ha evitato l’esplosione di eventi peggiori”. Ma a sentire la pressione è, innanzitutto, la comunità rom, già in esodo: “Vari componenti della famiglia Ciarelli”, conferma Muriana, “così come molti altri rom, si sono allontanati dalla città”.
Daniele Galli