Pescara. Massimo Ciarelli al night dopo aver sparato a Rigante: è uno dei tanti particolari svelati dal Questore Passamonti, che ha ricostruito nei dettagli le operazioni che hanno portato alla cattura del rom accusato dell’omicidio dell’ultras 24enne. L’appello del capo della Mobile: “Chi ha visto e vuole giustizia, parli”. Intanto il rom, interrogato, non risponde.
Si ricompongono uno dopo l’altro i tasselli dell’omicidio Rigante. “Ne mancano sei”, ha detto stamattina in conferenza stampa il capo della Squadra Mobile di Pescara Pier Francesco Muriana. L’uomo che ha condotto le indagini per arrivare a Ciarelli e che è impegnato nel ricomporre il quadro dell’omicidio, si riferisce alle altre sei persone che la sera del primo maggio erano nell’abitazione di via Giambattista Polacchi, che hanno visto quasi certamente chi e come ha partecipato al raid punitivo che ha ucciso Domenico Rigante. Ciò che è certo, a detta del questore Paolo Passamonti, è che a sparare con un revolver calibro 38 special è stato il rom 29enne.
Il raid omicida: la versione della polizia. Muriana e Passamonti, davanti alla famiglia Rigante, hanno ricostruito la vicenda, dalla sera precedente fino all’arresto di Ciarelli, che ieri pomeriggio si è consegnato sentendo puzza di terra bruciata attorno a sé. Si parte dalla sera precedente, quella del 30 aprile, quando una violenta rissa scoppia per le strade del centro storico tra Massimo Ciarelli e Antonio Rigante, uno dei due ‘gemelloni del Villaggio Alcyone”, fratello di Domenico. Scazzottata con molti testimoni, qualcuno sente dire da Ciarelli all’altro: “Ti ammazzo”. Il nomade si reca la stessa notte al Pronto Soccorso per farsi curare escoriazioni e lividi: ne esce con una prognosi di 4 giorni. La mattina seguente va in Questura, a denunciare lo smarrimento del portafogli con i documenti, ma non si esclude che nel parapiglia che ha poi coinvolto anche i due gruppetti attorno a Ciarelli e Antonio Rigante qualcuno possa aver azzardato il furto del portafogli; l’agente che redige il verbale della denuncia consiglia al rom di tornare, certificato medico alla mano, per denunciare l’aggressione, ma Ciarelli dice di essere stato aggredito alle spalle da ignoti e lascia la Questura, senza più ripresentarsi. La vendetta cova fino alla sera: una telefonata di un amico avverte Antonio Rigante che gli zingari, Ciarelli ed alcuni di fuori, lo stanno cercando. Antonio chiama a raccolta gli amici in piazza Grue “per decidere che fare”, spiega Muriana, che per il resto conferma quanto già ricostruito finora: il commando di otto persone raggiunge Antonio in strada, lui scappa e li rincorrono sparandogli addosso, senza prenderlo, e ne perdono le tracce. La caccia all’uomo dello squadrone di Ciarelli arriva nell’abitazione di via Giambattista Polacchi, all’interno Domenico Rigante e altre 5 persone: “Hanno detto di cercare i gemelloni”, riferisce Muriana basandosi sulle testimonianze dei presenti, quindi non uno o l’altro, ma entrambi, mentre in un primo momento si era ipotizzato che Domenico fosse stato scambiato per Antonio. Domenico è nascosto con un altro amico sotto il tavolo della cucina, il commando scansa gli altri e mira a lui, scatenandogli addosso una violenta scarica di percosse, e il proiettile calibro 38 che entrando dal fianco destro gli trafora numerosi organi, comportandogli un’emorragia interna fatale. Sarà lo stesso ragazzo, prima di morire, a dire che la pistola era in mano a Ciarelli, e il Questore oggi lo ribadisce con assoluta fermezza: “A sparare è stato lui”, anche se la pistola non si trova, anche se ormai non è più possibile effettuare l’esame dello stub per accertare la presenza di polvere da sparo sulla mano assassina.
Subito in fuga, passando dal night. “Dopo aver sparato si è messo subito in fuga”, ha detto Muriana. Ma la prima tappa di Ciarelli passa innanzitutto dal night di Silvi a salutare una ballerina rumena, fidanzata o comunque considerata tale e frequentata spesso dal 29enne. “Ci siamo subito diretti sul posto, mezz’ora dopo lo sparo, ma l’abbiamo mancato per dieci minuti”, dice il Questore. La caccia è aperta: e si svolgerà nel Foggiano, a Campobasso, sulla costa abruzzese da Francavilla a Martinsicuro, perquisendo tutti i siti della famiglia nomade, in parte scappata da Pescara. Ciarelli non è preparato alla latitanza, è in giro senza vestiti e senza cibo, quindi la Mobile sa chi pedinare e quali movimenti seguire: dalla ballerina Ciarelli non va, dai parenti nemmeno, ma uno di questi si muove per far scorte di cibo e vestiti. Quella la svolta, ieri mattina, la Polizia fa capire che il cerchio si stringe e che è pronta ad un intervento per stanarlo dal suo covo, e parte la telefonata all’avvocato Valentini, alle 13:00 di ieri: “L’unica telefonata fatta”, garantiscono Passamonti e Muriana, “non c’è stata trattativa, noi non trattiamo”. Fermamente determinati i due uomini di legge: “Avremmo preferito prenderlo ed eravamo pronti a farlo”, sottolinea il capo della Mobile, “consegnarsi è convenuto più a lui che a noi. Gli converrà in tribunale, è convenuto a lui e ai suoi famigliari, perché non rischiavamo noi in un blitz armato e la gente non era arrabbiata con noi ma con i suoi famigliari”. Nel pomeriggio il legale ritelefona, Ciarelli è pronto a consegnarsi: il posto tranquillo scelto è l’autogrill della A14 a Francavilla, dalla telefonata all’arrivo Ciarelli ci mette circa 25 minuti, per cui il nascondiglio non era troppo lontano: “Tra Montesilvano e Silvi”, pensa Passamonti.
“E’ il mio ultimo giorno da uomo libero”: quando si consegna nelle mani della Polizia Ciarelli pronuncia questa frase, allarga le mani ma non rinuncia al sorriso. Viene portato nel carcere vastese di Torre Sinello, e non nel pescarese San Donato, per ovvi motivi di sicurezza. Lì, questa mattina, il pm titolare dell’inchiesta, Salvatore Campochiaro della Procura di Pescara, lo ha interrogato per la prima volta, e Ciarelli si è avvalso della facoltà di non rispondere. La palla passa ora alla magistratura, ma il compito degli investigatori non finisce, anzi. I nomi degli altri sette del commando li sanno, il quadro dell’agguato è chiaro e sufficiente per incriminarli, ma Muriana aspetta di poter mettere tutti i pezzi al posto giusto per poter dare ad ognuno quello che gli spetta. E per ricostruire la scacchiera, dice: “E’ bene che parli chi grida sete di giustizia, perché chi c’era ha visto molto più di quello che sa: chi sa parli, compia un atto di giustizia in nome di Domenico”. Se Massimo Ciarelli è accusato dell’omicidio di Domenico, del tentato omicidio di Antonio Rigante, di porto abusivo d’armi e di violazione di domicilio, per gli altri sette pende l’accusa di concorso. “Su questi l’attenzione è massima, alcuni sono a Pescara, altri sono andati fuori”, spiega ancora Muriana, pronto a portare avanti la parte tecnica dell’indagine, con degli esperti che analizzeranno la scena del crimine e la Fiat 500 utilizzata e rinvenuta in via Caduti per Servizio, sotto casa del cugino di Massimo Ciarelli: “cercheremo tutte le prove per confermare le accuse”, aggiunge il questore.
Allarme sociale: controlli rinforzati. E lo stesso Passamonti ha confermato un giro di vite sul controllo del territorio cittadino, visto il clima di tensione sociale che si respira in città: “Ringrazio comunque la famiglia Rigante”, che era presente alla conferenza stampa, alla fine della quale si è riunita privatamente con il questore, “per aver contribuito a tenere la situazione più tranquilla, così come quella parte di tifoseria che stamattina ha evitato l’esplosione di eventi peggiori”. Ma a sentire la pressione è, innanzitutto, la comunità rom, già in esodo: “Vari componenti della famiglia Ciarelli”, conferma Muriana, “così come molti altri rom, si sono allontanati dalla città”.
Daniele Galli