Pescara. E’ stata necessaria l’amputazione del braccio per la 36enne romena Corina Dascalu, colpita ieri sera da due fucilate esplose da Antonio Di Martile, il 72enne che la teneva in casa come badante della moglie, anch’essa ferita dalla follia del marito, che, infine, si è suicidato.
Due i colpi di fucile che ieri sera hanno colpito Corina Dascalu, 36enne romena, una delle protagoniste della terribile vicenda andata in scena alle 19:40 di ieri al civico 28 di via Punta Penna, palazzina popolare al confine tra Pescara e Villa Raspa di Spoltore. Uno l’ha colpita alla mano, i pallini da caccia del secondo gli sono entrati nel braccio sinistro attraversandolo fino ad uscire all’altezza della spalla. Una ferita serissima che nemmeno un immediato e complicato intervento chirurgico ha potuto rimediare, portando all’amputazione dell’arto avvenuta in mattinata al Santo Spirito, dove la donna rimane ricoverata in prognosi riservata nel reparto di Rianimazione.
I vicini di casa hanno sentito anche un terzo, ma quello è andato a vuoto; il quarto, infine, è quello che l’ex netturbino ha rivolto contro il suo stesso volto, suicidandosi dopo aver anche malmenato al volto la moglie invalida, Evelina Leporieri, 75 anni, da 5 costretta alla malattia e alla sedia a rotelle da un ictus, attualmente sotto choc ma fuori pericolo. Un dirimpettaio avrebbe anche visto Di Martile, appassionato di caccia, scendere le scale con il fucile in mano, ma questi avrebbe giustificato gli spari con un incidente occorso durante la pulizia dell’arma; pochi minuti dopo il suicidio.
Ma da quell’appartamento al secondo piano non era insolito udire rumori, soprattutto urla, quelle della disperazione di un uomo che, come riferito dal figlio, era rimasto sconvolto dalle conseguenze della malattia della moglie, divenuta non autosufficiente e quindi bisognosa delle cure di una badante. Da quattro anni, infatti, Corina Dascalu viveva in casa Di Martile; una convivenza mal digerita, testimoniata dalle continue minacce della donna di lasciare la casa, forse per i continui screzi e i modi burberi del ‘padrone’, forse per le pressanti attenzioni di questi per la giovane donna: le voci del vicinato, infatti, riportano l’invaghimento e i continui appostamenti dell’anziano per spiare gli incontri della donna con il fidanzato. Anche poco prima della tragedia un vicino racconta di averlo visto sul balcone ad osservare in silenzio le effusioni dei due romeni. Poi un’ennesima lite, infine la strage.
Una strage, quasi sicuramente un raptus, per un motivo o per un altro, che avrebbe potuto avere epiloghi perfino peggiori. Le prossime festività pasquali avevano portato in casa Di Martile il figlio 14enne della badante, mentre la più piccola, di 7 anni, già dal 2008 era stata accolta dalla famiglia. È il ragazzino a raccontare il pomeriggio agitato precedente al delitto: Di Martile sarebbe andato in escandescenza per alcuni gesti della moglie dettati dalla malattia, arrivando anche a schiaffeggiarla; poi l’invito a Corina Dalescu di accompagnarlo a fare la spesa nel supermercato in fondo alla strada, il rifiuto di questa che ordina ai figlioletti di andarci al loro posto; un ordine che potrebbe avergli salvato la vita. Quando tornano con le sporte e fanno per rimettere le biciclette nel garage, il ragazzino trova Di Martile con il volto distrutto e scappa immediatamente su per le scale per avvertire la madre, trovandola sul pavimento del salotto in un lago di sangue. Nel frattempo i vicini avevano già chiamato il 113, e in pochi minuti il piazzale si è riempito di ambulanze e Volanti: la squadra Mobile per le indagini, guidate da Pier Francesco Muriana e Dante Cosentino, i carabinieri del capitano Claudio Scarponi. Poi un continuo accorrere di forze dell’ordine: il questore Passamonti, la scientifica, il magistrato Silvia Santoro. E decine di curiosi che circondano il nastro rosso che isola la zona, come in un film, ma la tragedia andata in scena è tutta vera.
Daniele Galli