“Ho tenuto questa conferenza stampa per una chiarificazione, perché ho un ruolo pubblico e perché voglio che non si stabilisca mai dentro l’Ente Regione il diritto alla pigrizia nel personale per via delle indagini”.
Così il presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, ai giornalisti parlando dell’inchiesta della Procura di Pescara sul recupero di un’area dismessa; indagini nell’ambito delle quali si è detto “soggetto passivo di accertamento della verità” e di cui ha letto “tutti gli atti di riferimento”.
“Ogni inchiesta che poi si conclude con una insoddisfazione del denunciante rappresenta per chi la subisce una specie di laurea ulteriore di piena affidabilità, a volte mi sento circondato da una immunità per i troppi errori che mi hanno riguardato”.
“Non mi sono state rivolte accuse. Ho semplicemente ricostruito attività e itinerario amministrativo. Non sono in possesso di nessuna comunicazione giudiziaria. Da questa inchiesta mi aspetto un vantaggio. Rischio, anzi, di conseguire una specie di immunità parlamentare”.
“Se vengo chiamato di nuovo – ha aggiunto D’Alfonso riferendosi alle indagini – assumerò di certo attività collaborativa”. “Ogni volta che si determina un approfondimento – ha proseguito – viene fuori che i denuncianti si rivelano con dei proiettili bagnati. Basta mettere in fila i documenti per avere le dimensioni dei fatti. Non mi meraviglio che un bombardamento denunciante produca una molteplicità di attività di accertamento”.
Ha detto il presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso precisando “sono 53 volte che mi trovo a spiegare le condotte di un’amministrazione mai addormentata, mai pigra, sempre attivissima”.
“L’unica millimetrica forma di dispiacere che ho – ha continuato – è l’impaurimento circa il dimagrimento delle motivazioni del personale che lavora con me. Però non posso neanche accettare che i mesi della vita regionale siano passati all’insegna di una elaborazione del lutto solo perché un’autorità giudiziaria o chiede le carte o attiva un accertamento.
Poiché chi lavora in Regione non presiede le Pro Loco, ma ha ruoli di responsabilità – ha aggiunto D’Alfonso – devono lavorare assumendosi le responsabilità e precisando a ogni piè sospinto ogni esigenza conoscitiva”.
“Accetto ogni sorta di confronto, se fosse possibile mi piacerebbe un confronto dialogico in diretta streaming. Non so se l’ordinamento italiano lo prevede. In America sì, nell’Illinois si viene interrogati in diretta streaming”.
“Spero che su queste contestazioni di origine politica, di origine emotivo-politica, si possano fare accertamenti in diretta streaming – ha aggiunto – e se non si possono fare nell’ordinamento giudiziario, ci sarà la seduta apposita del Consiglio regionale. Lì mi farò carico solo di portare rispetto al lavoro scrupoloso, diligente, genuino e autentico che fa l’autorità giudiziaria”.
“Prevedo anche la vita biologica di questa inchiesta, non perché io parli con la Madonna – ha concluso ironicamente – ma solo perché ho una grande adesione allo studio comprensivo di questi documenti. Ho chiesto alla mia coalizione e alla mia Giunta di sapere tutto, poiché voglio essere messo nella condizione di rispondere a tutte le domande e di controdedurre tutte le curiosità”.
Per ora l’ipotesi di reato sarebbe quella di abuso d’ufficio.
La Procura di Pescara ha iscritto nel registro degli indagati, oltre al presidente della Regione Abruzzo, anche l’ avvocato Giuliano Milia, difensore del governatore, il dirigente del comune di Pescara, Guido Dezio, ex braccio destro di D’Alfonso, l’ex consigliere regionale del Pd Claudio Ruffini, ex segretario particolare del presidente (anche lui coinvolto nell’inchiesta dell’Aquila), e Vittorio Di Biase, dirigente del servizio Genio civile della Regione.
L’inchiesta verte sul recupero del complesso ex Cofa, l’area di 35 mila metri quadrati di proprietà della Regione, che per trent’anni ha ospitato il mercato ortofrutticolo pescarese.