Pescara. “Non sembra possa dubitarsi che vi sia stata una evidente violazione della regola cautelare nel permettere che i bambini giocassero in un ambiente così pericoloso e che la mamma, per disattenzione, li abbia lasciati momentaneamente incustoditi; va peraltro ribadito che trattasi di bambini di 2 e 3 anni e che probabilmente, solo per miracolo, l’altro fratellino più piccolo è rimasto illeso”.
E’ uno dei passaggi più significativi delle motivazioni che accompagnano la sentenza di condanna di Loreta De Rosa, nell’ambito del processo di primo grado per la morte del figlio Francesco Pio Spinelli, il bimbo di 3 anni travolto e ucciso da un treno, nel tardo pomeriggio del 24 maggio del 2014, nelle vicinanze della stazione San Marco di Pescara.
La donna è stata condannata a tre anni di reclusione il 10 ottobre scorso, dalla Corte d’Assise di Chieti: inizialmente accusata di abbandono di minore, il reato è stato derubricato in omicidio colposo. Al padre della vittima, Virgilio Spinelli, e al nonno Cristoforo Spinelli, accusati di concorso in omicidio colposo, sono stati inflitti invece 3 anni e 6 mesi di reclusione. Il bambino, secondo quanto ricostruito dall’accusa, si allontanò da casa attraverso un varco della recinzione e raggiunse i binari dove sopraggiungeva un treno regionale che era partito da Roma Tiburtina. Il reato è stato derubricato in quanto “non è emerso in modo chiaro, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Di Loreto abbia abbandonato il figlio di 3 anni, unitamente al fratellino di soli 2 anni, con la coscienza e volontà di lasciarlo in una situazione di evidente e gravissimo pericolo”.
La responsabilità, scrivono ancora nel dispositivo il presidente della Corte d’Assise Geremia Spiniello e il giudice a latere Isabella Allieri, “si fonda sulla clamorosa violazione di una regola cautelare di comune esperienza, quella cioè di lasciare che bambini di tenera età possano giocare all’interno di un cortile recintato dotato di un ampio varco, dal quale si poteva accedere direttamente, senza ostacoli e senza dover passare attraverso la proprietà, alle sede ferroviaria e quindi ai binari”.
“L’imputata – si legge ancora – era pienamente consapevole dell’esistenza del varco perché da quel varco, tra l’altro ben visibile e abbastanza largo, era possibile recarsi alla piccola stalla, e dalla stalla, grazie ad un ampio varco creato nella recinzione metallica, si accedeva direttamente alla massicciata ferroviaria”. Il marito della donna, Virgilio Spinelli, secondo i giudici “rivestiva la medesima posizione di garanzia della moglie, era perfettamente al corrente dello stato dei luoghi perché era solito utilizzare la stalla ed aveva altresì una pregressa conoscenza dello stato dei luoghi. Non era una novità – rilevano Spiniello e Allieri – che i bambini giocassero nel cortile, talché anche nei suoi confronti ampia era la prevedibilità e prevenibilità dell’evento”. Infine, per quanto concerne la posizione del nonno, “è emerso con certezza che ad edificare i manufatti abusivi e, in particolare, il manufatto adibito a stalla dal quale, grazie al varco sulla rete, era possibile raggiungere direttamente la sede ferroviaria, sia stato Spinelli Cristoforo”.
La difesa ha sostenuto che si trattò di un incidente che si sarebbe potuto evitare se le Ferrovie dello Stato avessero predisposto una adeguata protezione dei binari, ma i giudici hanno rilevato “lo specifico obbligo, a carico dei proprietari, nei casi di nuovi insediamenti abitativi industriali adiacenti alle ferrovie, di provvedere alla preventiva idonea recinzione dei terreni in prossimità della sede ferroviaria”. Inoltre nelle motivazioni che accompagnano la sentenza si evidenzia “l’ulteriore profilo di colpa, caratterizzato dall’aver mantenuto il manufatto adibito a stalla nonostante le numerose diffide e denunce del passato, così come dall’aver realizzato e mantenuto i varchi dal muro di recinzione e dalla stalla fino alla sede ferroviaria, lasciando che i bambini potessero uscire dal recinto ed accedere direttamente alla sede ferroviaria”.