Città Sant’Angelo. Una bimba di cinque anni viene schiacciata e uccisa da una statua. Una tragedia, ancora tutta da definire nella dinamica, si è verificata questo pomeriggio a Città Sant’Angelo, all’interno dell’Outlet Village. Secondo la prima versione, pare che una statua ornamentale, presente all’interno del parco del centro commerciale si sia staccata dal suo basamento e sia caduta addosso alla piccola, non lasciandole scampo.
La dinamica è ancora tutta da definire, ma ripercorrendo il pomeriggio nero dell’Outlet Village, tra testimonianze e ricostruzioni, ciò che ha portato alla tragica morte della piccola Catherine Wassilissa pare essere stata la somma di due infausti giochi: quello che la bimba di soli 5 anni stava facendo spensieratamente con la sorellina di un anno più grande, e quello crudele che il destino ha scelto di tirare ad una famiglia dell’Est. La piccola, nata in Francia da genitori Russi, era venuta con la mamma e la sorella in vacanza in Abruzzo, a Tortoreto. E le tre generazioni femminili della famiglia Wassilissa avevano scelto di passare un pomeriggio di shopping tra i viali del colorato centro commerciale angolano, prima di tornare a casa (la partenza era fissata per domani) Larghi spazi e tre ancor più larghe piazze, interrompono il serpentone di negozi; in una di queste, dinanzi ai tavolini del bar Tiffany, accerchiata da vasi e panchine, c’è una delle statue simbolo del Village: le figure bronzee di due acrobati, una stesa prona e sollevata sulle mani, l’altra, di fronte alla prima, irta in verticale sopra un baule, entrambe unite da un arco con alcune palle in trasposizione. Una “elle” di circa due metri per lato, fissata su di un basamento in cemento o pietra. Fissata? Questo è il dubbio che dovranno sciogliere gli inquirenti, ma che l’ingenuità di due bimbe non si è minimamente posto. Intorno alle 16:15, a pochi passi da mamma e nonna, Catherine e la sorella stavano giocando attorno a quella statua in doppia figura, attratte, forse, da quelle palle immortalate nell’aria, come capitato a tutti i bimbi che le hanno sfiorate nei due anni di attività del Village. Poi un tonfo, seguito dall’urlo disumano di una madre che vede la piccola figlia esanime in un lago di sangue. La statua, probabilmente la parte più alta, cade portando con sé Catherine; un colpo alla testa che non le lascerà scampo. Allarmati dalle grida della giovane donna, i primi ad accorrere sono i baristi e i dirimpettai commessi del negozio Navigare; lo spettacolo che gli si mostra è quello della mamma con la piccola tra le braccia, già immediatamente estratta dal peso mortale. Viene allertato il 118, che consiglia telefonicamente di lasciare il corpo steso, immobile, senza toccarlo, lasciando solo il mento sollevato. Tempestivo l’arrivo dell’ambulanza e, poco dopo, dell’eliambulanza da Pescara, ma ciò che i medici, Michele Favale e Zopito Colantoni, possono accertare, è solo la morte sul colpo della povera piccola. Trauma cranico e distaccamento della base cranica le cause del decesso. Attonite, impotenti e sotto shock, la mamma, la nonna e la sorellina, fortunatamente illesa, assistono ad uno scenario irreale. Viene avvertito il padre, in Francia, che comunica la tempestiva partenza per l’Italia, mentre la mamma ai medici dichiara di voler riportare il corpicino proprio a Parigi. Immediato anche l’arrivo dei carabinieri di Montesilvano e della stazione di Città Sant’Angelo, accompagnati dalla Scientifica che si occupa dei primi rilievi. La zona viene transennata, la stessa direzione del Village ordina la chiusura dei negozi al pubblico. I commessi escono nel parcheggio, e si mischiano agli ignari clienti che arrivano; scarso l’afflusso di gente, per cui la calca esita a formarsi e i nastri tra le macchine militari non danno troppo nell’occhio del maestoso complesso. Sono proprio i dipendenti, agitati e innervositi dalla tragedia, ancor prima degli addetti alla sicurezza, ad impedire l’accesso agli ingressi, mentre alcuni dei cancelli principali vengono chiusi. Solo la brezza angolana riesce a penetrare il cordone dei carabinieri, che protegge al suo interno due testimoni oculari: un corpulento signore in maglia verde, ed un minuto uomo di colore. Il cordone si apre prima per far passare Giuseppina Rasetta, assistente sociale e assessore comunale, inviata dal sindaco angolano Gabriele Florindi per un primo sostegno ai familiari; poi, alle 18:00, giunge dal capoluogo adriatico il medico legale, per decretare l’ufficialità del decesso. Se ne andrà 50 minuti più tardi, dopo che il corpicino sarà stato caricato sul furgone dell’impresa funebre che lo accompagnerà nell’obitorio pescarese, dove saranno eseguiti gli accertamenti autoptici. Ad accompagnare la madre fuori dalla piazzetta, invece, è stata una psicologa sopraggiunta, insieme ad un interprete. Non parla la donna, nemmeno una lacrima, ma la macchia di sangue rappreso che si spande sulla sua gonna di jeans è più eloquente di qualsiasi pianto. Si allontanano, in una volante dei carabinieri, anche i due testimoni, diretti in caserma per essere ascoltati dal capitano Enzo Marinelli, comandante dell’Arma di Montesilvano. Dove c’erano i corpi, ora arrivano le macchine: serve un carroattrezzi per caricare la statua, smontata in vari pezzi e misurata dettagliatamente dagli uomini della Scientifica. Mano a mano, il bronzo dei due acrobati, l’arco con le palle, il basamento di cemento e la sua cornice vengono issati e avvolti da lenzuoli e bustoni neri. A cancellare ogni traccia dal pavimento arrivano ben due mezzi idropulitori: il Village domani mattina riaprirà ordinariamente i battenti; lo fa sapere, senza presentarsi sul posto, la direzione del centro commerciale: nessun sequestro, dunque. Fugace l’apparizione del Pm di Pescara Paolo Pompa, mentre dalle 19:30 il maresciallo angolano Arturo D’Addario ha cominciato la ricognizione delle statue installate negli spazi dell’intera struttura.
Quella mortale, invece, non deve essere presentata agli occhi di nessuno mentre si allontana, ma le telecamere a circuito chiuso del sistema di sorveglianza hanno visto, sanno, e dovranno dire se l’errore umano o solo la fatalità ha ucciso la piccola Catherine.
Le testimonianze e le ipotesi. Saranno le telecamere che sorvegliano sulla sicurezza dello stesso Village, paradossalmente, a dire se esistono responsabilità dirette o indirette per la morte di Catherine. Nessuno, certamente, ha spinto la statua addosso alla bimba, tantomeno qualcuno l’ha spinta a giocarci, arrampicarcisi forse; ma certamente qualcuno doveva rendere sicura la stabilità di quella statua, ancor più perché da quando l’Outlet è aperto quegli acrobati sono l’attrazione principale per i bimbi, stufi di aspettare che mamma e papà finiscano di strisciare i loro bancomat sulle casse. A confermare l’attrattiva, questo pomeriggio, sono stati gli esterrefatti clienti rimasti a bordo nastro con tanto di figli: “Assurdo, ci giocava sempre anche mio figlio su quella statua”, oppure, “i bimbi sono sempre stati attratti da quelle statue, stavano sempre lì attorno”, è stata la tiritera estemporanea ripetuta da chiunque apprendeva la notizia sul posto. Ma quelle statue non erano del tutto fisse, o meglio, venivano spostate ogni qualvolta gli eventi organizzati nel Village lo richiedessero. Quando è stata smontata la cornice per caricarla sul camion che l’ha portata via, la base di cemento ha mostrato le fessure utilizzate per infilare le “corna” dei muletti che le sollevano per spostarle. Tra la tensione, la diffidenza e le lacrime dei vari lavoratori, nel parcheggio uno dei pochi a parlare è stato il titolare del negozio di abbigliamento Navigare, Domenico Toscano, uno dei primi a vedere Catherine morta: “Per tutta l’estate qui ci sono stati degli eventi, e quelle statue non sono fisse, ma vengono spostate apposta per fare spazio, l’ultima volta è stata spostata qualche giorno fa. Non sono fissate, ma sono pesanti e si reggono da sole”. In effetti, per avvicinare al gancio-traino del carro attrezzi la sola base, sgombra da qualsiasi accessorio, sono serviti quattro uomini tra operai e carabinieri; difficile, dunque, che lo stesso parallelepipedo di cemento, seppur non ancorato al pavimento, si possa essere ribaltato con la statua addosso. Più probabile che l’acrobata in verticale, con un baricentro più alto del compagno sdraiato, abbia subito la leva da un’altalena improvvisata da Catherine, e a prima vista era proprio questa figura ad essere accasciata al suolo. Ma un’altra testimonianza, quella rilasciata a caldo dai medici dell’elisoccorso del 118, parla di bulloni non avvitati: “Sotto quella statua ci sono degli anelli, dei bulloni per fissarla a terra che non erano avvitati”. Se questi bulloni non fissati, dunque, dovessero realmente esserci, sarà da accertare se ad essere disancorato era il cemento dal suolo e il bronzo dal cemento, e soprattutto perché: dimenticanza o causa accidentale? La decisione di non mettere l’area sotto sequestro, anzi, ripulirla e renderla fruibile e calpestabile, lascia presagire che le indagini necessitino di poco tempo e pochi approfondimenti in loco. Ben presto, si spera, si saprà la verità, soprattutto con il contributo dell’occhio elettronico: magra consolazione per chi ha perso una figlia mentre rideva attaccata al sogno di un acrobata.
La famiglia era in vacanza a Tortoreto. La piccola era in procinto di tornare in Francia, visto che il periodo della vacanze era finito. Da alcuni anni, infatti, la famiglia di origine russe trascorre tutto il periodo estivo a Tortoreto, cosa che accade da almeno tre estati a questa parte. La famigliola era andata all’Outlet per effettuare le solite spese prima di concludere un periodo di vacanza.
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Daniele Galli