Pescosansonesco. Sarà il cardinal Crescenzio Sepe ad aprire i festeggiamenti per il bicentenario della nascita del Beato Nunzio Sulprizio: domani l’arcivescovo di Napoli sarà nel paese del giovane e santo operario nato a Pescosansonesco il 13 aprile 1817, per la celebrazione eucaristica prevista alle ore 17.
«La presenza di sua Eminenza – afferma entusiasta Monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne – è motivo di soddisfazione per la chiesa locale che si confronta – a volte troppo a bassa voce – con un santo della nostra terra amato e venerato nella città partenopea. La chiesa di San Domenico a Soriano in piazza Dante, infatti, conserva gelosamente le spoglia mortali di Nunzio, dopo la riesumazione del suo corpo che era stato sepolto nella cappella San Giacomo del Maschio Angioino, simbolo della città».
Negli ultimi anni della sua vita, infatti, il giovane beato fu ospitato proprio nel capoluogo della Campania, da uno zio originario di Popoli, soldato dell’esercito borbonico, nella casa del generoso Colonnello Wochinger, e fu, successivamente, ricoverato, nell’avanzare della sua patologia ossea, all’ospedale degli incurabili a Napoli. Mori il 5 maggio 1836.
«La malattia del beato – continua l’arcivescovo – ha paradossalmente rivelato l’amore ispirato di Nunzio Sulprizio. È stato capace di lasciare un segno e una testimonianza forte di mitezza e fede anche negli ultimi giorni della sua vita. È un esempio per tutti e soprattutto per i giovani, perché, oltre alla capacità di accogliere la croce e di accettarla testimoniando speranza, ha saputo affrontare, già dai primi anni di vita, le contingenze della sua esistenza senza mai abbattersi e “assorbendo” quel poco di positivo che gli si presentava».
Per questo l’arcidiocesi ha invitato tutti i giovani delle comunità parrocchiali, soprattutto quelli che hanno partecipato numerosi alla Giornata mondiale della gioventù di Cracovia, ad unirsi all’occasione per celebrare il Giubileo e per conoscere ancor più da vicino il beato di Pesco.
«Mi piacerebbe che i nostri giovani – conclude l’arcivescovo – imparassero da Nunzio il valore di una fede semplice e viva. Mi piacerebbe che come “lo sciangato” – così lo chiamavano i suoi coetanei a volte con disprezzo, a volte per ignoranza – sapessero guardare sempre gli altri con attenzione e amorevolezza. Nunzio ha saputo farlo nel lavoro duro della bottega del paese, con chi lo allontanava dal gruppo e dalla comunità, e nei giorni di ospedale, mostrando sempre gratitudine continua a chi lo curava e assisteva e attenzione affettuosa verso i sofferenti che arrivano nel nosocomio in fin di vita».