Pescara. Si chiude il cerchio attorno alle baby gang responsabili delle violente aggressioni sulla riviera: tre arresti e cinque denunce per il knockout game. Un 17enne a capo della baby gang.
Il più giovane non ha ancora compiuto i 14 anni di età, il più grande ne ha 19, tutti abituali frequentatori della movida della riviera e del centro cittadino: erano meno di una decina a turbare, a suon di botte e rapine, le serate di altri giovani e giovanissimi in cerca di svago sul lungomare. Dopo mesi di indagini, questa mattina la Squadra Mobile della polizia e la Compagnia Carabinieri di Pescara, ha arrestato il 17enne A.L. e il 14enne S.D., entrambi di Pescara, per i reati di rapina, estorsione, ricettazione, minacce aggravate e porto abusivo di armi. Insieme a loro è stato segnalato un 13enne che, tuttavia, non è imputabile. Il più grande dei due arrestati, inoltre, è stato anche indagato in stato di libertà, insieme ad altri quattro maggiorenni (di età compresa tra i 18 e i 19 anni), per la lunga serie di aggressioni e pestaggi avvenuti sulla riviera di Pescara nella notte del 28 giugno.
Fu quella la sera in qui, sulla riviera nord, si verificavano una serie di aggressioni da parte di alcuni giovani che si erano divertiti ad assalire e malmenare con le modalità tipiche della perversa e pericolosa pratica del Knockout game: la scusa della sigaretta da offrire, o il pretesto della ragazza “guardata troppo”, e la “gang” si scagliava contro ignari passanti brandendo anche i caschi per colpire selvaggiamente i coetanei. Più di un testimone- riferiscono gli inquirenti – ha raccontato che il branco si esaltava al grido di “KO!” ogni volta che qualcuno, improvvisamente e senza alcun motivo, veniva colpito e buttato a terra; la parola d’ordine per far scoppiare il “gioco” violento. Quella sera tre giovani finirono in ospedale per le ferite subite in diversi agguati, riportando prognosi comprese tra i sette e i quindici giorni. Più volte fu chiesto l’intervento della polizia, ma alla avista delle Volanti il gruppo si disperdeva dandosi alla fuga; tutti tranne uno, il 18enne Francesco Parolise, colto in flagranza e subito arrestato, arrivando anche a rischiare il linciaggio da parte della folla inferocita. I fatti accaduti quella notte fecero scattare un’indagine più approfondita che ha permesso, dopo aver interrogato una serie di testimoni, non tutti pienamente collaborativi, di identificare e denunciare anche gli altri cinque componenti del branco, tra cui il 17enne A.L.: per lui, però, la lista di accuse non finisce qui.
Nella notte tra il 19 e il 20 luglio scorso, poi, si presentò in questura un ragazzo di sedici anni, accompagnato dal papà, per riferire che, mentre si trovava nei pressi di uno stabilimento balneare della riviera nord, era stato aggredito e picchiato da alcuni giovani, tutti armati di coltelli. Il giovane precisò che il motivo dell’aggressione era del tutto futile poiché uno dei ragazzi, poi identificato proprio come A.L. oggi arrestato, da qualche giorno lo stava falsamente accusando di aver molestato la sua fidanzata. In realtà, precisava il 16enne aggredito, tra i giovani che frequentano di sera il lungomare, era da tempo noto il fatto che A.L., ed il gruppo dei suoi amici, si comportavano da bulli, girando armati di coltelli e divertendosi a molestare e minacciare coetanei per le più assurde banalità, seminando il panico: un chiaro riferimento a quanto accaduto la sera del 28 giugno. Peraltro, proprio mentre la vittima stava sporgendo denuncia in questura, ha ricevuto la telefonata di un amico che lo implorava di ritirare tutto perché appena stato aggredito dallo stesso gruppo di bulli, rapinato e minacciato con un coltello.
“Oramai in pieno delirio di intoccabilità, forti della consapevolezza del timore che erano riusciti ad ingenerare nei loro coetanei con l’uso indiscriminato della violenza di gruppo, rafforzato dallo spregiudicato possesso di coltelli”, riferiscono polizia e carabineri, “i due giovanissimi proseguivano la loro estate di violenza specializzandosi nella consumazione di reati e, in particolare, di rapine”. Le indagini hanno ricostruito che anche dietro la rapina a mano armata consumata la mattina del 28 luglio in piazza Salotto, quando a due ragazzine della provincia dirette al mare furono puntati i coltelli alla gola, c’erano sempre A.L e un altro giovanissimo “bad boy”. Il 17enne, senza paura nemmeno di colpire in pieno giorno, finì all’attenzione dei Carabinieri alle 5 di mattina del 1 agosto, durante un servizio di perlustrazione, sorpreso alla guida di un ciclomotore lungo la strada parco: perquisito, fu trovato in possesso di un coltello di 20 cm di lunghezza tenuto spavaldamente alla cinta. Inoltre il cilindretto forzato con uno spadino era chiaro indizio del furto del motorino che conduceva, risultato infatti rubato pochi giorni prima sulla riviera (Per questi fatti il minore dovrà rispondere anche dei reati di ricettazione e porto abusivo di armi).
La “folgorante carriere criminale” di A.L. si concludeva però il 5 agosto quando lo stesso, poco dopo le 14.30, tentava di consumare l’ennesima rapina ai danni di una donna nel parcheggio della golena sud. Avvicinatosi alle spalle della vittima, la bloccava mettendole una mano alla bocca ed intimandole di consegnargli la borsa. La reazione della donna faceva però scaturire tra i due una violenta colluttazione al termine della quale il rapinatore riusciva comunque ad impossessarsi della borsa e, dopo averla scaraventata a terra, prima di allontanarsi, a sfregio, le sferrava un calcio alla schiena. Benché terrorizzata e dolorante per quanto accaduto, la 37enne, prima di essere portata in ospedale, riusciva a dare una breve ma precisa descrizione del malvivente, fornendo importanti elementi che inchiodarono immediatamente il giovane quale autore dell’ennesimo colpo. I militari si precipitarono a casa sua, lui con sfrontatezza affermò di essere stato tutto il giorno davanti alla tv, ma il sudore su tutto il corpo e lo stato di agitazione lo tradirono: perquisita la casa, i carabinieri trovarono, maldestramente nascosti nel guardaroba invernale, la maglia, i pantaloni ed il cappello usati dal rapinatore poco prima, ancora intrisi di sudore e perfettamente compatibili con quelli descritti dalla donna. A.L. veniva così arrestato in flagranza per il reato di rapina e ristretto presso il Centro di Prima Accoglienza di L’Aquila.
L’eco avuto dal suo arresto permise di abbattere il muro di omertà eretto sulla paura che aveva protetto le malefatte dei due rapinatori: ai Carabinieri si presentavano così due 16enni i quali raccontavano di un ulteriore colpo messo a segno, questa volta da S.D. con altro complice al momento non ancora identificato, il 19 luglio. Luogo dell’evento è via Gioberti, dove i due adolescenti, seduti tranquillamente a parlare sui motorini, venivano avvicinati da due malviventi i quali, puntando un coltello alla gola di uno dei denuncianti, si facevano consegnare i portafogli con dentro qualche euro. Anche in questo delitto il coraggio della vittima permise ai Carabinieri di individuare, attraverso le foto segnaletiche mostrate, l’autore della rapina.
Alla luce degli elementi raccolti da Polizia e Carabinieri, su richiesta del P.M. Antonio Altobelli, il G.I.P. presso il Tribunale per i Minorenni di L’Aquila, Alessandro Giordano, ha messo la parola fine a quasi due mesi di terrore vissuti da giovani e giovanissimi in centro e lungo la riviera, disponendo per A.L. la misura cautelare della custodia in carcere presso un Istituto Penale Minorile e per S.D. la misura cautelare del collocamento in comunità.
UN BRANCO VIOLENTO: AGIVANO PER SUPREMAZIA
Il capitano dei carabinieri Claudio Scarponi e il capo della Squadra Mobile Pierfrancesco Muriana in conferenza stampa hanno sottolineato l’indole violenta del “branco” . “Stiamo parlando – hanno detto – di giovani e giovanissimi accomunati dall’appartenenza al gruppo che aveva fatto della violenza e prevaricazione il proprio cavallo di battaglia. Sono ragazzi appartenenti a famiglie senza particolari problemi, famiglie tutto sommato normali. Questi ragazzi non hanno agito per profitto ma per l’affermazione della propria supremazia”. Scarponi e Muriana hanno, infine, evidenziato che la collaborazione delle vittime e’ stata fondamentale per risalire ai componenti della gang.