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Montereale, il Tar boccia la cava all’interno del Parco

Il TAR di L’Aquila ha bocciato su tutta la linea l’operato del Comune di Montereale, del Parco del Gran Sasso e della Regione Abruzzo che hanno autorizzato, in una storia che ha del surreale, la realizzazione di una nuova cava da oltre 600.000 mc all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga facendola passare come un risanamento di una vecchia cava preesistente.

 

Con la sentenza 549/2021 sul ricorso depositato dall’associazione Forum Ambientalista in collaborazione con la Stazione Ornitologica Abruzzese, i giudici hanno riconosciuto in pieno le ragioni degli ambientalisti. Scrivono i giudici “Lo stato di grave compromissione di sito di estrazione è poi dimostratamente imputabile alla “Inerti Mozano” che ha esercitato l’attività estrattiva in violazione del progetto assentito con la proroga decennale del 22.3.2002, come si evince dal verbale del 24.9.2007 di infrazione elevato dalla Regione Abruzzo.”

 

Inoltre “Da nessuno degli atti del procedimento culminato con l’autorizzazione impugnata emergono argomenti certi che inducano a qualificare il progetto approvato come avente ad oggetto il risanamento del sito di estrazione con esplicita e univoca dimostrazione che l’ulteriore attività di escavazione è l’unica tecnica possibile per pervenire a tale risultato.” Pertanto “Quanto detto conferma, da un lato, che il risanamento dell’area, quale obbligo non adempiuto dalla concessionaria, non può costituire oggetto principale di una nuova concessione mineraria in favore della concessionaria inadempiente, semmai, come si dirà, il presupposto per l’adozione di misure sanzionatorie e rimediali, dall’altro è incontrovertibile che, cessata ogni lecita attività estrattiva e venuto meno il titolo di disponibilità dell’area da parte della “Inerti Mozano” S.r.l., tutti gli atti successivi al 30.6.2015 (data di scadenza dell’ultima proroga della concessione), istruttori, preparatori e concessori culminati con l’autorizzazione all’ampliamento della cava, si pongono in frontale contrasto con il divieto di aprire nuove cave all’interno dell’area del parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga…”

 

Dichiara Augusto De Sanctis, che per la Stazione Ornitologica Abruzzese aveva sollevato il caso già nel 2017, intervenendo anche nel 2020 con note al comune di Montereale e agli altri enti rimaste incredibilmente inascoltate, “la cava era all’interno del Parco nazionale, mentre gli enti addirittura avevano cercato di farla passare come esterna utilizzando un confine “farlocco”, pure avallato nel 2007 e nel 2012 da due direttori generali del Ministero dell’Ambiente nonostante le surreali lettere dell’Ente Parco che evidenziava l’errore in cui stavano cadendo, per poi adeguarsi anche lui. Tra l’altro il portale cartografico nazionale dello stesso Ministero dell’Ambiente ha sempre riportato il confine giusto e non quello “farlocco” per cui la cosa era evidente a tutti. Solo grazie alla puntigliosa ricostruzione della SOA del 2017, basata su un accesso agli atti sui documenti originali del Decreto presidenziale di istituzione del Parco, la verità è venuta a galla tanto che durante il giudizio al TAR lo stesso Ministero ha clamorosamente ammesso che il confine giusto è quello segnalato dalla SOA e che quindi la cava è all’interno dell’area protetta, dove l’escavazione è vietata. A peggiorare il quadro il fatto che il Comitato Valutazione di Impatto Ambientale della Regione nel 2016 aveva usato la cartografia giusta ma incredibilmente poi aveva affermato che gran parte della nuova cava sarebbe rimasta fuori dal Parco. A nulla è valsa una lettera del 2017 e una diffida del 2020 con cui si facevano emergere questo e altri errori chiedendo di fermare il progetto. Certo bisogna tornare a focalizzare l’attenzione sul comportamento del Comitato V.I.A. regionale che a nostro avviso sta prendendo posizioni sempre più incomprensibili rispetto alle norme che è chiamato ad attuare”. Dichiara l’avv. Herbert Simone, che ha difeso il Forum Ambientalista “Dalla sentenza emerge chiaramente che il progetto non è un risanamento e non è la prosecuzione di un’attività esistente ma una cava ex novo che nel parco e nella zona di protezione speciale non poteva essere autorizzata. Il TAR ha chiarito che la precedente cava non avrebbe dovuto più esserci in quanto già risanata. Solo i gravi inadempimenti della ditta coinvolta e le omissioni del Comune e della Regione che non hanno preteso l’escussione delle fidejussioni depositate a suo tempo a garantire il risanamento hanno portato al mancato recupero ambientale. Questo non può certo comportare l’autorizzazione di una nuova cava, visto che un eventuale progetto di recupero a quel punto avrebbe dovuto essere fatto con un appalto pubblico e non paradossalmente riconsegnando alla stessa ditta che ha creato i problemi i lavori per una nuova cava in un’area protetta dove è vietato. Infine i giudici hanno censurato il Comune e la Regione per aver, rispettivamente, rilasciato e accettato una Valutazione di Incidenza Ambientale che aveva un parere del geometra del comune e non di un esperto in materie naturalistiche. Nonostante il ricorso al TAR i lavori sono partiti e ora sarà nostra cura valutare tutti gli ulteriori aspetti che la vicenda ha fatto emergere”.