L’Aquila, PDCI: “la ricostruzione deve partire dalla collettività”

carriole_l_aquilaL’Aquila. La manifestazione delle “carriole” come lo sciopero alla rovescia fatto negli anni ’50 dai disoccupati in Via Sallustio.

Il paragone è di Angelo Ludovici, segretario provinciale del Partito dei Comunisti Italiani, secondo cui la grande partecipazione della gente segna una svolta nello scenario politico cittadino.

“E’ entrato in scena una nuova soggettività” scrive in una nota “che si compone di mille anime diverse, ognuna delle quali porta nel proprio bagaglio le proprie esperienze culturali, sociali, politiche ed umane. Ognuna di quelle persone che hanno partecipato, che hanno preso un mattone, un sasso, un pezzo di giornale, un libro, trasmetteva all’altro la volontà di cimentarsi in un’esperienza che travalicava i momenti segnati dalla noiosa quotidianità di questi mesi. L’odore di muffa che trasaliva dal cumulo delle macerie segnava il peso delle responsabilità”.

Ludovici fa poi riferimento alla popolazione di Haiti, anch’essa colpita dalla tragedia del sisma, che dopo soli due giorni si è attivata per mettere da parte i mattoni e ricostruire le case.

“In quel momento ho pensato a quanto siamo scemi” aggiunge. “L’idea che ci è stata trasmessa è che la ricostruzione della nostra città passa attraverso progetti complessi e che gli uomini comuni devono assistere passivamente alla sua ricostruzione. Sicuramente c’è bisogno di bravi tecnici, ma l’idea di come ricostruire la città deve essere un patrimonio soggettivo e collettivo. La nostra città era ed è segnata dalla storia di uomini che hanno lasciato le loro tracce soprattutto attraverso le sensibilità architettoniche ed urbanistiche. Non è stato un disegno organico, ma un insieme che ha attraversato un tempo lungo della vita di centinaia di uomini. Ed ognuno di noi oggi si rende conto di questo grande patrimonio. Nella mia vita ho attraversato la città in lungo e largo ed ogni tanto ho notato nuovi particolari. Bassorilievi, portali, cortili, fontane, piazze, pietre segnate con date o con nomi sono i segni del tempo trascorso. Quando in un angolo trovi un mascherone che poi, nel tempo, diventa il simbolo di qualche festa cittadina, mi sono sempre chiesto e mi chiedo se chi ha pensato di mettere quel mascherone in quell’angolo pensava che sarebbe diventato un simbolo per la popolazione. Ricostruire una città, sicuramente, è un grande impegno civile e culturale prima che ingegneristico. Non vorrei che il centro storico diventi la fotocopia delle new town. Una città noiosa ed omologata a progetti culturali ed architettonici calati dall’alto”.

Marina Serra

foto di Manuel Romano


 

 

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