Chieti. Un sarcofago di marmo di epoca romana ha mandato sotto processo Vincenzo Angelini, imprenditore della sanità privata abruzzese, già condannato per bancarotta.
E che nel caso del sarcofago ‘paga’ soprattutto per la sua passione per i beni di pregio quanto costosi, dai mobili ai quadri ai sigari. Il sarcofago è fra i beni dell’ingente patrimonio personale che ad Angelini venne sequestrato dopo la dichiarazione di fallimento delle sue società che formavano la galassia Villa Pini, a metà del 2010: un bene che come gli altri della sua collezione era finito in una vendita all’asta.
Ma a bloccare l’operazione intervenne la Soprintendenza per i Beni archeologici di Chieti e così la Procura della Repubblica di Roma fece sequestrare il sarcofago che era custodito a custodito in un centro orafo: contestando ad Angelini l’accusa di ricettazione, poiché il bene, che l’imprenditore aveva acquisito da un privato, sarebbe oggetto di scavi clandestini ed illeciti e per aver conservato per sé il reperto archeologico, non consentendo all’autorità amministrativa di compiere gli opportuni accertamenti.
Accuse che sono costate ad Angelini un decreto di citazione diretta a giudizio davanti ai giudici della Capitale.