“Basta con la cementificazione del suolo”. Già nel 2016 in un comunicato e in un esposto la denuncia dei rischi tra le vie Ianni e Masci
Chieti. La riattivazione a Chieti del movimento franoso nell’area tra via Ianni e via Masci, che ha costretto nei giorni scorsi il sindaco Diego Ferrara a ordinare la parziale chiusura dell’autoparco comunale e il trasferimento dei dipendenti, non rappresenta una sorpresa: nel 2016 il Piano stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico classificava dal punto di vista geologico quel territorio per quanto riguarda le frane nelle classi “elevato” e “molto elevato” sia per la pericolosità (termine che indica la possibilità che un dato fenomeno avvenga) sia per il rischio (il danno che l’evento può provocare alla vita e alle attività umane). Nella carta geomorfologica risultava anzi la presenza di un corpo di frana di scorrimento “attivo e quiescente”. Una situazione di preallarme che aveva indotto il WWF Chieti-Pescara nel marzo 2016 a presentare, a firma della presidente e dell’avv. Francesco Paolo Febbo, un esposto (in allegato) al Comando Provinciale teatino dell’allora Corpo Forestale dello Stato per chiedere di verificare la regolarità, in relazione in particolare al rischio idrogeologico, dell’iter procedurale relativo alla realizzazione del complesso (7 palazzine e un grande centro commerciale secondo notizie di stampa del 2018) tuttora in corso di realizzazione in via Masci, zona ex fornace, proprio a valle dell’area interessata dal movimento franoso. Nel medesimo esposto si chiedevano analoghe verifiche anche per l’intervento previsto in una zona particolarmente ricca di risorgive, a monte dell’ex ospedale San Camillo de Lellis.
La questione nacque, appunto nel 2016, quando si era acceso a Chieti il dibattito su quattro nuove strutture commerciali della grande distribuzione. Il WWF intervenne puntando l’indice in particolare sui due progetti. Già allora, citiamo da un comunicato dell’11 febbraio, era il rischio idrogeologico a destare le maggiori preoccupazioni: «Non bisogna dimenticare che le pendici collinari di Chieti – queste in sintesi le dichiarazioni rilasciate all’epoca, ma tuttora più che valide, dalla presidente Nicoletta Di Francesco – sono fragili, soprattutto là dove scorre acqua. Lo dimostrano infiniti episodi. Non c’è alcun bisogno di regimentare le risorgive per costruire a ogni costo, e del resto un simile intervento non darebbe garanzie assolute per il futuro, come l’esperienza ci ha insegnato. Molto meglio evitare di accumulare errori su errori e lasciare a verde le aree a rischio. Per la tutela del paesaggio, della solidità dell’agglomerato urbano e anche delle tasche dei cittadini che prima o poi saranno chiamati con le loro tasse a intervenire per salvare costruzioni che mai avrebbero dovuto esistere. A Chieti è già successo e vorremmo che non accadesse mai più». Si chiedeva per queste ragioni all’amministrazione (allora sindaco era Di Primio) e al consiglio comunale di evitare «questo ulteriore scempio, che va contro il buon senso e i veri interessi dei cittadini». Costruire a ogni costo, cementificare altro suolo rappresenta comunque un errore ma è una scelta del tutto incomprensibile in una città che perde abitanti e che ha decine di appartamenti vuoti. Eppure si continua a costruire. Evidentemente qualcosa non funziona. Cambiare strategia è una scelta obbligata e urgente.