Sevel Atessa, Di Rocco scrive a Marchionne: “diritti cancellati in nome del dio profitto”

sevel_atessaAtessa. Il segretario generale del sindacato Fiom Cgil Chieti, Marco Di Rocco, in merito alla difficile situazione della Sevel di Atessa, che ha visto una lunga sequenza di licenziamenti negli ultimi giorni, ha inviato una lettera all’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne.

L’obiettivo è quello di portare alla luce il processo di ristrutturazione di Fabbrica Italia nelle aziende Fiati, “accompagnato da una cancellazione dei diritti in nome e per conto del dio profitto”.
Riportiamo di seguito il testo integrale della lettera firmata dal segretario della Fiom Cgil.

Egregio Dott. Marchionne,
La ringraziamo per la sua gentile lettera che finalmente, dopo tanto chiacchiericcio, chiarisce in modo inequivocabile l’intento della FIAT e di “Fabbrica Italia”, interrompendo le stucchevoli esternazioni  anche da parte di chi non ha mai lavorato in fabbrica né, forse, ha mai lavorato.
I dubbi che l’esperienza di Pomigliano rimanesse circoscritta non ci hanno minimamente sfiorato, “abbiamo la necessità di creare normali livelli di competitività ai nostri stabilimenti”, quindi a tutti gli stabilimenti, anche al nostro, e non è un caso che il progetto si chiami “Fabbrica Italia”. Sembra a dir poco patetico il tentativo di alcune sigle sindacali di non voler vedere ciò che è fin troppo chiaro: stravolgere le regole in nome del Dio profitto e chi si oppone va eliminato, i licenziamenti di questi giorni sono un esempio tristemente e angosciosamente lampante, chi non si china al volere del “Padrone” va eliminato senza mezzi termini.
È interessante la terminologia che viene usata nella sua gentile lettera, “chi vi parla non è il padrone” non è l’azienda FIAT ma la “persona“ Marchionne il quale “tiene veramente a cuore” le persone che lavorano in fabbrica, i suoi operai. Il suo tempo passato fuori dall’Italia indubbiamente Le hanno fatto perdere di vista la realtà della fabbrica FIAT, dove le persone non sono persone ma numeri, dove manca qualsiasi rapporto umano e dove già adesso viene esasperata la produttività. Le scriviamo dalla sua Regione – l’Abruzzo – dalla sua Provincia – Chieti – dove è situata la SEVEL, dove ultimamente sono stati licenziati, senza neanche un grazie o una pacca sulla spalla, 1.500 giovani che hanno visto infrante le loro speranze dopo anni di sacrifici, straordinari, ricatti. Dopo la loro fuoriuscita la produttività è rimasta la stessa, è evidente che qualcuno – noi – abbiamo dovuto accelerare i nostri ritmi. In realtà oggi, nella nostra fabbrica si respira, ciò che la terminologia esprime sin troppo chiaramente, il leit motiv è: “padrone, operaio” e se questa affermazione la rende incredulo non deve far altro che visitare di più le officine.
Potremmo ripercorrere, come ha fatto Lei, tutta la nostra storia sindacale, le nostre lotte, le nostre battaglie che sono altrettanto dignitose come la sua storia personale e familiare, abbiamo contribuito alla crescita di questo paese ITALIA rendendolo civile, moderno, con il contributo, l’impegno e la vita di molti militanti. Anche all’interno della SEVEL i nostri accordi, insieme al duro lavoro degli operai, hanno contribuito alla crescita della fabbrica macinando produzione, successi e record, senza il bisogno di stravolgere i diritti. Ci siamo sempre misurati con le sfide non perdendo mai di vista quei diritti conquistati con il duro lavoro e con il sacrificio di uomini e donne e neanche quelle parole che lei cita come: “gravità”, “possibilità”, “opportunità”, “necessità”, “competitività”, possono farci derogare da quei diritti che potrebbero incrinare il nostro stato dignitoso di “persona”. È giusto sottolineare che se la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro, all’art. 40 recita che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, non si possono inventare norme che di fatto cancellano il diritto allo sciopero né  tantomeno norme che vorrebbero una restrizione delle assenze per malattie. Umanamente le malattie non sono prevedibili né controllabili. Magari lo fossero.
“Quello di cui c’è bisogno è uno sforzo collettivo”,  è vero ha pienamente ragione, noi siamo già abituati ai sacrifici, è quello che facciamo ogni giorno, le paghe non proprio agganciate all’economia, la cassa integrazione, il premio di risultato che quest’anno è euro ZERO, ci hanno abituato a risparmi e sacrifici sempre più consistenti, abbiamo dovuto lottare duramente, per vederci riconosciute quelle briciole che oggi “ornano” i nostri stipendi, ma è bene che lo sforzo diventi collettivo, che gli stipendi dei manager, magari anche il suo, contribuisca alla crescita economica aziendale, così come gli utili e i dividendi degli azionisti che non hanno, stranamente, mai conosciuto crisi.
Ebbene ai nostri figli e ai nostri nipoti vorremmo trasmettere la sicurezza di un lavoro dignitoso, trasmettendo quelle conquiste che i nostri genitori ci hanno consegnato, vorremmo trasferire quella certezza che l’industria possa essere etica, una industria che si confronti con i mercati internazionali non spremendo gli operai, riducendo le pause o eliminando i diritti, ma ricercando quelle tecnologie ecologiche ed innovative, investendo in nuovi modelli, così come fanno le altre case europee. Vorremmo trasmettere ai nostri figli una fabbrica veramente umana dove il dialogo non sia solo epistolare, dove il rispetto non sia disatteso, dove l’operaio non sia soltanto un numero ma dove attraverso il coinvolgimento sul lavoro, attraverso la qualità, si possa ricominciare quel cammino di crescita per noi per la nostra industria e per il nostro paese.
Umanamente e cordialmente la ringraziamo se potrà considerarci.

 

 

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