Giulianova. La biblioteca Bindi, la Gipsoteca Pagliaccetti, la Cappella de’ Bartolomei, il Museo archeologico e casa Braga chiuderanno tra pochi giorni. Il motivo? I dipendenti della cooperativa Il Volo che da anni gestiscono le strutture, garantendo una doverosa offerta culturale a chi vive e visita il centro storico di Giulianova, non percepiscono stipendio da 5 mesi e l’amministrazione comunale non è in grado di garantire fondi con continuità.
Saranno in molti a non accorgersi di questa battuta d’arresto. Si sa, il nonpubblico dei musei e degli enti culturali è di gran lunga superiore a chi la cultura la vive ogni giorno, direttamente o di riflesso.
I primi interrogativi se li porranno i turisti, questa estate, passeggiando per un centro storico senza storia, che non ha più voce per parlare dei suoi illustri personaggi: di Bindi, che ha donato alla sua città natale una raccolta di libri e di dipinti della scuola di Posillipo, di Gaetano Braga, violoncellista di talento emigrato a Parigi, di Raffaello Pagliaccetti, l’ennesimo artista che ha sbarcato il lunario fuori dai confini regionali, lavorando a Firenze, accanto ai maggiori scultori veristi dell’Ottocento.
Una città che rinuncia agli operatori che promuovono e divulgano il patrimonio culturale è una città vuota, un packaging senza contenuto.
Certo, potremmo mettere a tacere il problema guardando il via vai di gente nel fine settimana o durante iniziative enogastronomiche che da qualche anno allietano turisti e giuliesi.
Ai tanti giovani gestori delle attività in centro storico va l’indiscusso merito di aver rivitalizzato il cuore di Giulianova e di aver cancellato le sottili differenze tra chi frequenta
la Spiaggia e chi abita il Paese con la buona musica, un calice di vino e tanti sorrisi.
Un centro storico vissuto è la più grande delle risorse in un periodo in cui le aree metropolitane hanno sufficiente appeal per attrarre migliaia di abitanti dai piccoli borghi.
Un centro storico vissuto, per davvero, è un’impresa che richiede sinergia. Gli operatori culturali possono dare un valore aggiunto, poiché rinsaldano il legame tra gli spazi urbani
e i cittadini, tra il passato e il presente, fornendo una chiave di lettura indispensabile per la comprensione dei luoghi e della storia.
E invece siamo qui a scongiurare la chiusura del Polo museale civico e di una biblioteca storica, sperando che tra un bilancio e un taglio alla spesa pubblica si trovi il modo per garantire un servizio di primaria importanza per la città.
Rinunciare alla cultura equivale a guardare le nuove generazioni crescere senza legami solidi con i luoghi che frequentano, per le quali il senso d’appartenenza si riduce alla fede calcistica e a quattro ombrelloni nelle domeniche d’agosto. Rinunciare alla cultura è un atto di violenza verso le nostre radici culturali, che ci forniscono l’unico buon motivo per
restare, in un momento storico in cui il verbo più ricorrente è partire.
Una città senza passato è una città senza futuro. Non serve indignazione, serve reazione. Abbiamo bisogno di proposte e soluzioni per la nostra città, proposte che restituiscano dignità al lavoro nel settore dei beni culturali.
Emanuela Amadio, storica dell’arte