L’Abruzzo ha oggi grosso modo la stessa popolazione del 1951: 1,28 milioni di persone. Ma si tratta di una stabilità solo apparente.
In primo luogo perché il numero di abitanti è cambiato nel corso dei decenni. È passato, infatti, da 1,28 milioni del dopoguerra a 1,17 milioni agli inizi degli anni ’70, con una diminuzione di quasi il 9% in appena un ventennio caratterizzato dal boom economico, la crescita dell’industrializzazione e l’abbandono dell’agricoltura.
Negli anni successivi si è registrato invece il trend opposto. I residenti sono tornati sopra la soglia di 1,2 milioni nel 1981, raggiungendo quasi 1,25 milioni nel 1991 e arrivando a 1,3 milioni nel 2011. Nell’ultimo decennio, la tendenza ha nuovamente cambiato segno. Nel 2020 i residenti nella regione sono tornati 1,28 milioni, con un aumento dello 0,3% rispetto a 70 anni prima.
Ancora più interessante dettagliare queste tendenze nei territori abruzzesi. Dal 1951 al 2020 la provincia di Pescara ha visto un aumento dei residenti del 30,9%, quella di Teramo del 10,7%. Al contrario, le province di L’Aquila e Chieti hanno registrato un calo rispettivamente del 20% e del 6,2%.
Lo spopolamento comune per comune
Sono soprattutto le aree montane e interne della regione ad aver visto una maggiore contrazione degli abitanti.
Nei comuni periferici e ultraperiferici della regione la popolazione è diminuita del 31,4% dal 1951. Un calo ben superiore a quanto registrato a livello nazionale per i territori con le stesse caratteristiche (-20% nello stesso periodo).
Appartengono alle aree interne tutti i comuni dove lo spopolamento è stato più vistoso. Villa Santa Lucia degli Abruzzi è passata da 1.251 residenti nel 1951 a 92 nel 2020, con un calo del 92,6%. Il paese si trova in provincia dell’Aquila, ai piedi della parete sud del Gran Sasso, e conta anche una frazione, oltre che il centro principale.
Negli anni l’isolamento è stato così evidente, tanto che nel gennaio 2020 l’amministrazione comunale stanziò 25mila euro a fondo perduto per chi avesse aperto un bar, luogo che in paesi così piccoli svolge una fondamentale funzione di socialità. Poche settimane dopo l’apertura del bando, però, è scoppiata la pandemia.
Quello di Villa Santa Lucia non è l’unico caso di spopolamento nelle aree interne abruzzese. Altri 32 comuni – tutti periferici o ultraperiferici – hanno registrato cali superiori all’80%. [la mappa di tutti i comuni]
Complessivamente le aree più periferiche hanno perso nel periodo quasi 100mila abitanti dal 1951 e 2020, di cui 11mila nell’ultimo decennio.
Com’è evidente anche nella mappa, tuttavia lo spopolamento non è generalizzato. Infatti, molte città della costa adriatica hanno visto un’espansione importante negli ultimi decenni.
Su tutte Montesilvano (Pescara), passata dai circa 7mila abitanti del 1951 agli oltre 50mila attuali (+622,13%). Una crescita rilevabile anche nell’ultimo decennio (+5,8% dal 2011), così come per altri comuni – tutti sul mare o vicini alla costa – cresciuti di oltre il 200% negli ultimi 70 anni: San Salvo, Alba Adriatica, San Giovanni Teatino e Martinsicuro.
I comuni polo, centrali in termini di servizi, hanno visto la propria popolazione aumentare del 47,2% dal 1951 a oggi. Una tendenza superiore a quella registrata a livello nazionale (+29,5%) e a cui non fanno eccezione neanche i capoluoghi di province in via di spopolamento. L’Aquila, infatti, ha aumentato i suoi abitanti del 26,9% rispetto al 1951, Chieti di oltre il 20%. Ancora più evidenti le crescite di Pescara (81,4%), Avezzano (61,4%) e Teramo (35,8%).
Differenziazione interna e intermunicipalità
Come invertire la tendenza allo spopolamento dei territori più tradizionalmente rurali e periferici? Le possibili soluzioni sono molteplici e complesse, come il problema dello spopolamento. L’unica certezza è la necessità e l’urgenza di politiche pubbliche decise e coraggiose.
Ne abbiamo parlato con Alessandra Faggian, Giulia Urso e Fabiano Compagnucci, ricercatori del Gran Sasso Science Institute dell’Aquila.
All’interno dell’istituto è presente tra gli altri un dipartimento di scienze regionali e geografia economica, diretto proprio da Alessandra Faggian, all’interno del quale vengono studiate anche le aree interne italiane e il fenomeno dello spopolamento.
Occorre innanzitutto differenziare le dinamiche anche interne delle aree periferiche. È interessante rilevare, infatti, come alcuni centri dei comuni interni e montani abbiano mantenuto le loro strutture sociali e in certi casi anche economiche, rispetto alle frazioni e alle case sparse degli stessi territori.
“Anche all’interno delle aree periferiche vi sono comuni che svolgono il ruolo di centri. Nonostante una scala inferiore rispetto ai principali centri regionali, questi comuni riescono comunque ad organizzare il territorio circostante, fornendo alcuni tipi di servizi pubblici e privati o opportunità occupazionali a scala sovralocale. Questi insiemi di comuni dovrebbero costituire l’unità spaziale su cui calibrare le politiche di coesione”, come affermano i ricercatori del gruppo diretto da Faggian, che è anche la direttrice dell’area Social sciences del Gssi.
E qui si arriva al punto: l’importanza dell’intermunicipalità, ossia della costruzione organica di pianificazione delle politiche e di relazioni tra comuni periferici, ma anche tra le stesse aree interne e le zone più urbane.
Da questi concetti si può partire per la pianificazione di politiche pubbliche funzionali per la lotta allo spopolamento. Da un radicale rafforzamento dei servizi essenziali per la popolazione, allo sviluppo turistico o produttivo, fino alle politiche per la genitorialità e per una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Tutti ambiti del tessuto sociale nelle aree interne in via di spopolamento, che continueremo a indagare su Abruzzo Openpolis nel corso delle prossime settimane.