I presidenti delle Regioni chiederanno un incontro al Governo per affrontare il tema delle distanze minime per le trivellazioni off shore. E’ quanto deciso dalla Conferenza delle Regioni, che ha accolto le richieste della Regione Abruzzo di investire il Governo sulla modifica dell’articolo 35 del Decreto Sviluppo che abroga parte del decreto legislativo 128 del 2010.
La materia verrà trattata dalla commissione Energia della Conferenza che stilera’ un documento politico che a sua volta passerà all’esame dei presidenti di Regione, per la definitiva richiesta di confronto con il Governo.
“Si tratta di una posizione forte dei presidenti di Regione” ha commentato il presidente Chiodi al termine della riunione “che certifica quanto sia sentito il problema delle trivellazioni in mare e quanto si debba intervenire per correggere le anomalie dell’articolo 35”.
IL COMMENTO DI LEGAMBIENTE ABRUZZO
La richiesta delle Regioni è chiara: avere un ruolo di primo piano nella valutazione e nel rilascio dei permessi di ricerca e estrazione di petrolio, non solo sul territorio di competenza ma anche nel mare italiano. La questione è al centro della Conferenza Stato Regioni di oggi pomeriggio, e già lo scorso autunno era stata oggetto della Conferenza internazionale delle regioni adriatiche e ioniche che si è tenuta a Venezia.
Sono infatti più di 65mila i chilometri quadrati ipotecati per prospezione, ricerca e estrazione di greggio. Un rischio enorme per l’ambiente e l’economia del sistema marino costiero in nome di una presunta indipendenza energetica, contro la volontà di Regioni ed enti locali delle cui richieste il governo uscente non sembra voler tenere conto.
Anche la nuova Strategia energetica nazionale accentra ancora di più il ruolo dell’esecutivo lasciando alle Regioni e agli enti locali solo una parte marginale e non vincolante per il rilascio di concessioni.
“Il tutto per favorire la corsa all’oro nero delle compagnie petrolifere che continua senza sosta – commenta il vice presidente di Legambiente Stefano Ciafani -. Il governo uscente sta cedendo migliaia di kmq di mare alle compagnie petrolifere, in nome di una presunta indipendenza energetica che durerebbe appena 7 settimane, stando ai consumi attuali e alla stima delle riserve accertate sotto il mare italiano. La forte accelerazione delle richieste per la ricerca e l’estrazione di petrolio nel mare italiano ci preoccupa molto – prosegue Ciafani – soprattutto se associata agli ultimi atti normativi, che annullano i vincoli per la tutela delle aree marine di pregio e per le coste. Questa deriva petrolifera deve essere assolutamente fermata, a partire dall’abrogazione dell’articolo 35 del decreto sviluppo e delle altre norme pro trivelle. Confidiamo in una forte azione congiunta di Regioni e Enti locali per assicurarsi un ruolo determinante in scelte così importanti per il loro futuro”.
Ad oggi sono attive nel mare italiano oltre 34 richieste di ricerca per oltre 16251 kmq, 3 istanze di prospezione per un’area di 45mila kmq che comprende praticamente tutto l’adriatico, 13 permessi di ricerca già rilasciati per 5469 kmq e 8 istanze di concessione per altri 732 kmq.
A settembre la Commissione VIA ha rilasciato parere positivo alle richieste avanzate per la prospezione in mare da parte di due compagnie straniere, l’inglese Spectrum Geolimited e la Petroleum Geo Service Asia Pacific con sede a Singapore. L’area interessata riguarda circa 45 mila kmq, praticamente tutto il mar Adriatico da Ravenna fino all’estremo sud della Puglia. In Adriatico centrale, lo scorso 25 gennaio la Commissione VIA ha sbloccato il pozzo Ombrina Mare 002 della Medoilgas a sole 3 miglia dall’istituendo Parco nazionale della costa teatina, nonostante la contrarietà di cittadini e delle stesse amministrazioni lovali e della Regione Abruzzo. La richiesta nel 2010 era stata fermata dai vincoli imposti dal Dlgs 128/2010, perché troppo vicino alla costa, vincoli azzerati dall’articolo 35 del decreto Sviluppo. Nel Canale di Sicilia la Norther Petroleum ha presentato richiesta per allargare i permessi di ricerca in fase di autorizzazione per un’area di oltre 1300 kmq, prima vincolati perché troppo vicini ad aree protette e di pregio e ora di nuovo disponibili alle attività petrolifere. Nello Ionio la Shell è titolare di due richieste di ricerca per oltre 1350 kmq, che hanno già ricevuto parere negativo dalle Regioni Puglia e Basilicata. Come se non bastasse il Ministero dello sviluppo economico, con un decreto approvato il 27 dicembre scorso ha esteso l’area di mare da destinare alla ricerca e l’estrazione di petrolio intorno alla Sicilia (Zona C), istituendo una nuova area, “Zona C – settore sud” che occupa un ampio tratto a est dello Ionio Meridionale e a sud-est del Canale di Sicilia, “considerato il potenziale interesse alla ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle aree di sottosuolo marino sopra richiamate”.