Il Consiglio regionale, nella seduta odierna, ha approvato il regolamento sulla macellazione per il consumo familiare. Anche in Abruzzo, quindi, dove c’è una forte tradizione di allevamento e macellazione domestica di animali come il suino per uso familiare, si potrà macellare piccoli quantitativi di carne senza incorrere in numerose procedure burocratiche.
Tra le novità la possibilità di poter macellare in loco diverse specie animali come suini o cinghiali (4 capi adulti), ovicaprini (10 capi adulti con 12 mesi di età o superiori e 20 agnelli o capretti con età inferiore ai 12 mesi) per anno e per azienda di allevamento.
“Il nuovo regolamento che abbiamo contribuito a modificare” dichiara il consigliere del Pd, Claudio Ruffini “va nella direzione dei piccoli allevatori e dei consumatori locali. Macellare piccole quantità di animali sarà più semplice e soprattutto meno costoso. Il provvedimento permetterà inoltre di eludere e di regolamentare le cosiddette macellazioni clandestine che spesso violano le norme in materia igienico-sanitarie e della commercializzazione delle carni di dubbia provenienza. Resteranno alcuni obblighi come quello di notificare la macellazione al Servizio Veterinario e di rispettare le regole della Comunità Europea come quelle legate all’abbattimento dei suini con mezzo di stordimento o pistola a proiettile captivo”.
Il regolamento approvato qualifica, inoltre, l’offerta gastronomica delle aziende agrituristiche che sempre più possono fare affidamento su prodotti locali, autoctoni.
“Alla luce di questa nuove disposizioni” aggiunge Ruffini “è necessario tornare a discutere di una riforma degli agriturismi in Abruzzo. Nei primi mesi del 2012 proporrò alla III Commissione di aprire un confronto tra la nostra proposta di legge e quella della giunta regionale”.
Secondo il consigliere del Pd, dunque, va fissata e definita meglio la connessione dell’attività agrituristica con l’attività agricola e di allevamento animale chiarendo che tali attività devono essere prevalenti nei nostri agriturismi e che gli stessi non possono essere dei mezzi per “camuffare” attività di ristorazione vere e proprie.