Quattro incidenti avvenuti nei laboratori del Gran Sasso si aggiungono ai tre già noti al pubblico grazie all’attività di inchiesta svolta dalla Mobilitazione per l’Acqua del Gran Sasso.
“L”ultimo, un incendio dell’1 giugno 2016 che ha portato a ritardare di mesi un esperimento, non era noto neanche ai vigili del Fuoco, nonostante i Laboratori, un impianto sotterraneo con enormi problemi di sicurezza, siano classificati ufficialmente ‘a rischio di incidente rilevante’, stoccando 2.200 tonnellate di sostanze pericolose infiammabili – fanno sapere le associazioni ambientaliste – Le carte per gli anni ’90 del secolo scorso raccontano di un incendio nel 1996 e di due fuoriuscite massive di sostanze dal sistema anti-incendio nel 1992 e nel 1999. Questi eventi provocarono grande preoccupazione negli enti pubblici per la sicurezza dei laboratori (la questione acqua non sembrava esistere…), come si evince dal tenore delle lettere di prefetto, vigili del fuoco, INFN”.
“Poi ci sono stati gli incidenti noti, i due nel 2002, in particolare quello del 16 agosto 2002 con lo sversamento di trimetilbenzene nel fiume Mavone che poi portò al sequestro dei laboratori nel 2003 per il mancato rispetto proprio delle norme di sicurezza (tra l’altro anche della direttiva Seveso) e l’incidente con il diclorometano dell’agosto 2016, emerso peraltro quattro mesi dopo solo per caso ed indirettamente per un improvvido comunicato della regione Abruzzo. Ora sappiamo che l’1 giugno 2016 si è verificato un incendio nel tunnel di collegamento tra sala A e sala B dei Laboratori (area ex Bam) ad un’unità di condizionamento che ha portato al rinvio di un esperimento per mesi e all’attivazione di assicurazioni. La scoperta in questo caso è avvenuta grazie al lavoro d’inchiesta della Mobilitazione che ha passato in rassegna centinaia di documenti dei ricercatori. A quel punto abbiamo chiesto ai Vigili del Fuoco di Teramo e L’Aquila i documenti sul loro intervento e su eventuali rapporti e relazioni. Ci hanno risposto ufficialmente che non ne sapevano nulla”.
E ancora: “Quanto accaduto è di gravità inaudita. In primo luogo non sappiamo le conseguenze dei fumi sprigionatisi sull’acqua. In secondo luogo è inaccettabile che i gestori di un impianto a rischio di incidente rilevante che ospita in sotterraneo 2.200 tonnellate di sostanze pericolose e infiammabili non segnalino immediatamente alle autorità preposte un evento di questo genere. Tra l’altro gli eventi incidentali già avvenuti devono essere obbligatoriamente analizzati dagli enti pubblici proprio nell’ambito della pianificazione della prevenzione degli incidenti. Certo fa riflettere che tutto ciò sia avvenuto in una situazione di quasi completa irregolarità per quanto riguarda il rispetto della Direttiva Seveso sulla prevenzione degli incidenti industriali rilevanti, visto che nel 2016 i Laboratori non avevano neanche il Rapporto di Sicurezza approvato (e non lo avevano ancora almeno fino a gennaio 2018) e il Piano di Emergenza Esterno per i cittadini era scaduto da 5 anni”.