Ce lo ricorda il Rapporto Cave 2021 di Legambiente. Le altre regioni inadempienti sono Basilicata, Molise, Sardegna, Calabria e Friuli Venezia Giulia a cui si aggiunge la Provincia autonoma di Bolzano.
Per citare il rapporto: ” L’assenza dei piani è particolarmente preoccupante perché si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione. Questa assenza di pianificazione, unita agli interessi economici ed alla presenza della criminalità organizzata (le ecomafie) nella gestione del ciclo del cemento e nel controllo della aree cava, mostra una situazione ancora allarmante in troppe aree del Paese”.
Secondo il rapporto in Abruzzo ci sono 198 cave attive e ben 475 dismesse e/o abbandonate con un effetto di devastazione paesaggistica notevole. Un numero elevato se consideriamo dimensioni e popolazione della nostra regione. Francamente non mi è chiaro come possano essere solo 198 le cave attive se nel 2012 ne risultavano 596 e vi erano 90 richieste di nuove autorizzazioni. Allora feci una battaglia per chiedere un censimento delle cave dismesse e può darsi che ne sia derivata questa riduzione dopo i controlli ma bisognerebbe approfondire.
Se alla comunità rimangono le ferite inferte al territorio, come denuncia il rapporto “quello che emerge è la netta sproporzione tra ciò che viene richiesto dagli enti pubblici ed il volume d’affari generato dalle attività estrattive”.
In Abruzzo con anni di battaglie in Consiglio Regionale e fuori siamo riusciti a ottenere qualche risultato almeno in termini di aumento dei canoni ma – come sottolinea il rapporto – comunque “il margine di guadagno dei cavatori è enorme”.
La crisi dell’edilizia ha frenato negli ultimi anni la proliferazione di cave ma sarebbe opportuno che la Regione provvedesse ad approvare il piano.
“Ricordo che ero riuscito nel 2012 a fare approvare la moratoria all’autorizzazione a nuove cave ma PD e centrodestra alla fine cedettero alle pressioni dei cavatori”, ricorda Maurizio Acerbo, ex consiglere regionale di Rifondazione comunista.
“Su questa materia va detto – come per l’acqua minerale – che le competenze dovrebbero tornare allo Stato visto che le regioni continuano a farsi pagare pochissimo per materie prime su cui si fanno grandi affari.
Inoltre bisognerebbe organizzare filiere di recupero e riuso come fanno i tedeschi diminuendo progressivamente l’impatto sulle nostre montagne.
Sarebbe importante sapere tra le centinaia di cave abbandonate quante siano oggetto di progetti di ripristino a carico delle imprese”.
IL RAPPORTO COMPLETO