Quello che hanno lanciato questa mattina gli ambientalisti da diverse città abruzzesi è un allarme in piena regola.
Perché le associazioni che fanno parte della “Mobilitazione per l’Acqua del Gran Sasso” sono riusciti ad accedere, tramite una paziente e laboriosa richiesta di accesso agli atti, ad una serie di presunte violazioni in materia di sicurezza dei Laboratori del Gran Sasso.
Secondo questi riscontri, all’interno dei Laboratori mancherebbe da dodici anni (2006) il Rapporto di Sicurezza, uno dei documenti più importanti per un impianto classificato “a rischio di incidente rilevante” sulla base della Direttiva Seveso. Dal rapporto di sicurezza, depositati più volte sempre secondo gli ambientalisti ma non approvati dal 2006 al 2016, derivano anche altri due documenti chiave: il Piano di Emergenza Interno, rivolto ai lavoratori, ed il Piano di Emergenza Esterno, rivolto alla popolazione.
I Laboratori del Gran Sasso sono classificati a rischio di incidente rilevante per via delle 2300 sostanze pericolose stoccate all’interno, “ma di cui non si rispetta a prescindere la legge di tenerli a 200 metri di distanza dai punti di captazione dell’acqua – hanno sottolineato – La Mobilitazione per l’Acqua aveva già denunciato che il Piano di Emergenza Esterno adottato nel 2008 e bollato come provvisorio dalla Prefettura dell’Aquila, fosse scaduto nel 2011. Adesso scopriamo che manca da anni un Rapporto di Sicurezza correttamente approvato”.
Ma non la sola sottolineatura che pongono gli ambientalisti: una recente ispezione dei vigili del fuoco, ha infatti portato a più di cento contestazioni da parte del comandante provinciale di Teramo, Romeo Panzone. “Un rapporto di ispezione che però non abbiamo potuto consultare per una decisione dei vigili del fuoco e che contesteremo nelle sedi opportune. Sappiamo però che il C.T.R. del 16 gennaio 2018 ha assegnato 6 mesi ai laboratori per risolvere le non conformità riscontrate. Gli ispettori hanno altresì rilevato che il Piano di Emergenza Interno (P.E.I.) al momento dell’ispezione, ottobre 2017, era quello risalente al 2013 e non era stato neanche aggiornato dopo l’entrata in vigore del D.lgs.105/2015. Hanno quindi proposto di irrogare ai Laboratori la sanzione prevista dall’Art.28 comma 6 del Decreto e, cioè, una multa da 15.000 euro a 90.000 euro”.
E concludono: “Nel frattempo il cosiddetto tavolo tecnico della regione continua a lavorare nell’opacità e non risponde neanche agli accessi agli atti. Ci viene negata dai vigili del fuoco la trasparenza sugli atti delle ispezioni e addirittura sullo stesso contenuto del Rapporto di Sicurezza, anche nella forma sintetica. Qui non si vuole affrontare il vero nodo, l’allontanamento delle 2.300 tonnellate di sostanze pericolose usate in LVD (1.000 tonnellate di acqua ragia) e Borexino (1.292 tonnellate di 1,2,4 trimetilbenzene) obbligatorio per legge, ammettendo finalmente che la ricerca scientifica deve avere limiti come tutte le cose umane. Oltre alla gravità delle clamorose omissioni e inadempienze, è questo l’errore strategico su cui si continua ad insistere”.
Degli atti in possesso (e che alleghiamo) è stata inviata una copia anche alla procura di Teramo che ha aperto un fascicolo d’inchiesta mesi fa dopo le presunte contaminazioni dell’acqua del maggio scorso.
Lettera_Segnalazione_Violazione_PEI_20171