Il tribunale dell’Aquila ha condannato il ministero della Sanità a un maxi risarcimento danni da un milione e mezzo di euro: è infatti questa la cifra che lo Stato dovrà elargire nei confronti dei familiari di un uomo di 40 anni, deceduto dopo una trasfusione di sangue infetto che gli fece contrarre l’epatite C.
La sentenza prevede anche un risarcimento dei danni per la nipotina dell’uomo, che non viveva con l’anziano: a lei vengono infatti corrisposti altri 150mila euro, per risarcirla della scomparsa del nonno.
Ricordiamo che la trasfusione fu effettuata durante un’operazione chirurgica avvenuta negli anni ’80, quando la Sanità era ancora sotto il controllo diretto del governo centrale. Di qui, secondo le conclusioni dei giudici, il fatto che ad essere responsabile di quanto accaduto è il ministero della Salute, sebbene all’epoca ancora non fossero ancora disponibili i test specifici per la ricerca del virus Hcv, quello che provoca l’epatite C. Tuttavia, continua la sentenza, questo non basta per deresponsablizzare lo Stato, considerato che da tempo si conoscevano i rischi di trasmissione di epatiti virali.
Risarcimento per sangue infetto, la sentenza che fa discutere
In particolare, nella sentenza il tribunale ha indicato che “grava sul ministero della Salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all’anno 1958, l’obbligo di controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione della transaminasi”.
In conclusione, pertanto, il giudice afferma che laddove il sangue trasfuso al paziente, negli anni 80, fosse stato oggetto di controllo, “con elevato grado probabilistico lo stesso non avrebbe contratto l’infezione da Hcv”.
Mary Corsi, l’avvocato che ha rappresentato l’uomo nella prima causa, e i familiari nella seconda, ha commentato affermando come la particolarità di questa sentenza sia che “ha statuito l’intangibile diritto al risarcimento per la perdita del rapporto tra nonno e nipote, in ragione del legame giuridicamente rilevante, e ciò a prescindere dalla convivenza, ritenendo provati rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, anche se distante”.
Tra gli altri aspetti di rilievo della sentenza, infine, il fatto che il giudice non ha inteso detrarre l’indennizzo previsto dalla l. 210/1992 in favore dei congiunti del danneggiato deceduto, percepito dall’erede, di norma sempre scomputato in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno.