L’Abruzzo è la quarta regione d’Italia per numero di aziende femminili sul totale delle imprese: un dato significativo, che alla vigilia di un appuntamento che non vuole essere solo celebrativo come l’8 marzo, induce come chiede CNA Impresa Donna Abruzzo a una riflessione sul presente e il futuro di questo pezzo così importante della nostra imprenditoria.
I numeri sulla forza e la consistenza del movimento imprenditoriale “in rosa” sono contenuti in una ricerca, fresca di stampa, realizzata dal Centro Studi nazionale della CNA su dati di Movimprese, il sistema informatico delle Camere di Commercio: ebbene, nel 2021 la “quota di ruoli imprenditoriali detenuti da donne”, sul totale delle imprese, ammonta in Abruzzo al 28,9%, appena dietro Valle d’Aosta (30,5%), Umbria (29,7) e Molise (29,5), ma ben davanti a realtà di più consolidata tradizione come Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia. Il tutto con ben dodici punti in più della media nazionale, attestata al 26,8%.
Un risultato importante, insomma. Cui si aggiunge – e non pare certo elemento marginale – una riflessione sulla capacità di riscossa e resilienza delle imprenditrici italiane ed abruzzesi in questi anni complicati: nel momento in cui “il nostro Paese ha registrato prima una fase di grave crisi economica legata alla pandemia da Covid-19 (2020) e poi una fase di altrettanto repentina e robusta ripresa (2021), si osserva una tenuta complessiva del tessuto produttivo. Nel 2021, però, le imprese femminili hanno agganciato la crescita, mettendo a segno un aumento di 11.500 unità rispetto al 2020. La buona performance della imprenditoria al femminile va ancor più rimarcata poiché, negli stessi anni, quella maschile è invece rimasta al palo” spiega ancora lo studio. Sbaglierebbe, oltretutto, chi pensasse a ruoli marginali per le donne imprenditrici: a livello nazionale, e i risultati dell’Abruzzo non possono che essere migliori visti i numeri, “nel 69,7% dei casi non svolgono una funzione ausiliare, ma sono responsabili in prima persona dello sviluppo del progetto imprenditoriale in qualità di titolari (29,2%) e di amministratrici (40,5%)”.
Quando poi il focus dello studio si sposta sull’analisi dei settori produttivi coinvolti, si scopre che «l’elemento che spicca con maggiore evidenza è che le donne operano principalmente nei servizi. E nello specifico, gli ambiti di attività nei quali i tassi di imprenditorialità femminile (espressi come numero di donne sul totale) risultano più elevati sono i servizi per la persona (52%), aggregato che comprende le tinto-lavanderie, i parrucchieri e i centri estetici; il turismo (35,9%). Cui seguono l’agricoltura (29,3%) e il commercio (27,2%). Meno diffusa è la presenza delle donne nel comparto manifatturiero (16,9%), nel quale operano in netta prevalenza imprenditori di sesso maschile». Guardando più in profondità, però, si scopre che in alcuni comparti della manifattura «il ruolo giocato dalle donne è tutt’altro che residuale», ma di tutto rilievo nell’abbigliamento, dove il 44,7% dei ruoli imprenditoriali è ricoperto da donne o nella pelletteria (30%), con quote significative anche in altri comparti, fra cui alimentare (29,2%) e produzione di gioielli e accessori (23,6%): settori che rappresentano da sempre le punte di diamante del made in Italy.
Ma come incide la presenza delle donne nel mondo delle imprese abruzzesi guardando alla loro dimensione? Dove le donne imprenditrici sono meno penalizzate? “Se guardiamo ancora allo studio nazionale della CNA – riflette Linda D’Agostino, presidente di CNA Impresa Donna Abruzzo – va sottolineato, ad esempio sono il profilo retributivo, che i tradizionali squilibri che penalizzano sul lavoro le donne diminuiscono in modo molto considerevole quando si riduce la dimensione d’impresa. Dati alla mano, la retribuzione oraria maschile supera quella femminile di 17,1 punti percentuali nelle grandi imprese, ma nelle micro imprese questo differenziale retributivo si assottiglia notevolmente fin quasi a sparire, visto che rest sotto i due punti percentuali”.
Ma gli aspetti “virtuosi” del mondo delle micro imprese per le donne imprenditrici non si fermano qui: “Non è solo questione di gap retributivo. Se guardiamo anche all’occupazione, saltano fuori altre considerazioni positive: se infatti le lavoratrici rappresentano il 40,5% dell’occupazione totale delle imprese nel settore privato, questa quota risulta molto più elevata nelle micro-imprese da zero e nove addetti, dove supera i 47 punti percentuali». In conclusione, per Linda D’Agostino «è dunque evidente come nelle imprese più piccole l’aspetto relazionale tra lavoratori e datori di lavoro sia fondamentale: la conoscenza diretta, facilitata proprio dalla piccola dimensione aziendale, consenta una valutazione legata al merito, all’efficienza e non è influenzata da pregiudizi di alcun tipo”.