L’Aquila. La coltivazione e la raccolta dei tartufi alla luce dei cambiamenti climatici, che impongono nuove tecniche, in particolare quella dell’irrigazione in base a precisi criteri scientifici, la necessità di fare manutenzione dei boschi produttivi, per mantenere ottimale la produzione, con la ripulitura dei fossi, la rimozione dei ristagni, il controllo della vegetazione infestante, la potatura delle piante simbionti. La necessità di non stressare e sfruttare oltre il dovuto le cave produttive.
Questi alcuni dei temi trattati in un gremito auditorium di Renzo Piano a L’Aquila, del convegno nazionale “La gestione delle tartufaie naturali”, nell’ambito della seconda giornata della Fiera internazionale dei tartufi d’Abruzzo iniziata ieri mattina all’Aquila nel parco del Castello e che si protrarrà fino a domani domenica 11 dicembre. Una prima edizione che, secondo la Regione Abruzzo, ambisce a diventare una kermesse nazionale ed internazionale, sulla falsariga delle manifestazioni ad Alba, in Piemonte.
La Fiera è promossa dalla Regione Abruzzo, in particolare dall’Assessorato all’Agricoltura, attraverso l’Azienda regionale attività produttive (Arap), nel suo ruolo di soggetto attuatore, in collaborazione con il Comune dell’Aquila, le Camere di commercio Gran Sasso d’Italia e Chieti Pescara, Arta Abruzzo e le associazioni di settore. Presenti al parco del Castello 60 imprese che espongono in oltre 40 stand, con masterclass, degustazione di piatti a base di tartufo, b2b tra buyers e aziende, show cooking a cura di prestigiosi chef, laboratori del gusto con gli istituti Agrari e Alberghieri, e la possibilità di prenotarsi presso gli stand delle associazioni tartufai, per simulazione della cerca e cavatura del tartufo.
A prendere la parola tra gli altri Claude Murat, ingegnere di ricerca dell’Inra di Nancy, Gilberto Bragato, primo ricercatore Crea di Gorizia, Gianluigi Gregori, direttore del Centro sperimentale di Tartuficoltura di Sant’Angelo in Vado, Leonardo Baciarelli-Falini, professionista e collaboratore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali all’Università di Perugia e Michele Di Rienzo, agronomo, il comandante del Gruppo Carabinieri Forestale dell’Aquila, il tenente colonnello Donatello Cirillo.
Murat, che opera in uno degli istituti di ricerca all’avanguardia in ambito tartuficolo, ha affrontato il tema quanto mai attuale della raccolta e coltivazione del prezioso fungo ipogeo in un’epoca storica caratterizzata dai mutamenti climatici. Focalizzando l’attenzione sulle tecniche di irrigazione.
” I dati raccolti per decenni stabiliscono una proporzione matematica tra eccesso o carenza di pioggia e produzione annua delle tartufaie. Da maggio ad agosto la carenza di acqua è negativa, da settembre a ottobre rappresenta invece un problema l’eccesso di acqua – ha spiegato l’esperto -. Sfavorevoli anche le temperature troppo alte nel periodo da febbraio a maggio. Ed è quello che sempre più accade con i mutamenti climatici. In Francia abbiamo così avviato una sperimentazione di irrigazione degli alberi micorizzati nelle piantagioni, attraverso sonde che hanno preventivamente misurato il parametro-soglia ottimale di acqua che occorre per ciascun terreno. I risultati ottenuti sono stati molto importanti: il campione di piante irrigato ha avuto produzioni anche cinque volte superiori rispetto al campione non irrigato”.
Per quanto riguarda la coltivazione del bianco, ha poi spiegato Murat: “la sperimentazione è iniziata in Italia negli anni ’60 ma le piantagioni hanno dato qualche soddisfazione solo dove i tartufi bianchi si raccoglievano già naturalmente. Ci sono stati infatti problemi e limiti nelle tecniche di micorizzazione delle piante ad essere state commercializzate. Ma buona notizia è che le ultime sperimentazione stanno consentendo un aumento di produzione anche in aree non vocate al bianco”.
Il professor Bragato ha invece analizzato il nesso tra tipologie di terreni e rendimento ai fini della produzione di tartufo: “il terreno e la sua qualità, ovvero la sua composizione, compattezza, tessitura, i suoi parametri biochimici, in termini di carbonati e ph, sono il capitale fisso, sia per l’agricoltura che per la raccolta dei tartufi. Una piantagione va pianificata con analisi specifiche del terreno, I tartufi di montagna hanno bisogno di molta sostanza organica, dal 15% al 30%. Una ragione in più per preservare questo habitat, il bosco va gestito, rimuovendo le infestanti, le piante morte, e gli arbusti che se proliferano rischiano di azzerare anche la produzione”.
Ad affrontare il tema del miglioramento delle tartufaie naturali il dottore forestale Gianluigi Gregori: “L’habitat è lo spazio vitale che non è avulso dal contesto che può essere agricolo, o selvaggio. Le norme di settore dovrebbero essere più mirate. La gestione e lo sfruttamento del bosco vanno fatte con accortezza, ora si usano camion ed escavatori che rischiano di distruggere le preziose tartufaie naturali. Ma anche l’eccessiva pressione di raccolta che esaurisce le cave, rappresenta una minaccia. Occorre porre un limite, perché il micelio non ha forza di resistere e mantenersi se vittima di iper sfruttamento”.