Il crollo delle micro imprese, secondo Paolo Zabeo dell’Ufficio studi della Cgia, è dovuta alla caduta dei consumi delle famiglie e la loro lenta ripresa, l’aumento della pressione fiscale e l’esplosione del costo degli affitti cause che hanno spinto fuori mercato molte attività senza contare che l’avvento delle nuove tecnologie e delle produzioni in serie hanno relegato in posizioni di marginalità molte professioni caratterizzate da un’elevata capacità manuale”.
“Ma oltre al danno economico causato da queste chiusure, c’è anche un aspetto sociale molto preoccupante da segnalare – rileva Zabeo -. Quando chiude definitivamente la saracinesca una bottega artigiana, si perdono conoscenze e cultura del lavoro difficilmente recuperabili e la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente. Altresì, c’è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale”.
A livello territoriale è il Mezzogiorno la macro area dove la caduta è stata maggiore. Tra il 2009 e il 2018 in Sardegna la diminuzione del numero di imprese artigiane attive è stata del 18% (-7.664). Seguono l’Abruzzo con una contrazione del 17,2% (-6.220), l’Umbria, che comunque è riconducibile alla ripartizione geografica del Centro, con -15,3% (-3.733), la Basilicata con il 15,1% (-1.808) e la Sicilia, sempre con il -15,1%, che ha perso 12.747 attività. Nell’ultimo anno, invece, la regione meno virtuosa d’Italia è stata la Basilicata con una diminuzione dello stock dell’1,9%.