Pescara. Gli unici segnali positivi sono figli della crisi economica: fra il 2007 ed il 2012 solo i pubblici esercizi e gli intermediari sono cresciuti di numero. Per il resto, l’indagine condotta da Confesercenti fra i dati sulla natimortalità delle imprese in Abruzzo attraverso gli anni della crisi indica uno smottamento fortissimo nel tessuto economico della regione.
La crisi, secondo il centro studi Confesercenti, ha visto evaporare in Abruzzo il 9,7 per cento delle strutture ricettive, il 22 per cento dei negozi di abbigliamento, il 19,3 per cento delle rivendite alimentari. Complessivamente il terziario abruzzese ha perso qualcosa come 5.117 posti di lavoro fra titolari e dipendenti: come se avesse chiuso la più grande fabbrica d’Abruzzo.
Particolarmente preoccupante la performance del settore abbigliamento, che ha conosciuto una vera e propria desertificazione con la chiusura di oltre 1 negozio su 5, ben oltre la media nazionale e alla drastica riduzione del reddito d’impresa di quasi il 20 per cento. Ad influenzare l’appesantimento della crisi del commercio abruzzese c’è l’invasione della grande distribuzione, che ha fatto dell’Abruzzo un esempio negativo in Italia. Una prima vittoria di Confesercenti si è registrata con la recente riduzione degli studi di settore in conseguenza dell’apertura dell’outlet a Città Sant’Angelo.
In questi anni, è emerso dalla ricerca presentata dal presidente Beniamino Orfanelli e dal direttore Enzo Giammarino, è proseguita la ristrutturazione del settore alimentare, con una ulteriore crescita (oltre il 90 per cento) della quota di mercato detenuta dalla grande distribuzione.
Le poche note positive arrivano dai segmenti tradizionalmente anticiclici, come i pubblici esercizi e le partite Iva nel campo dell’intermediazione, rifugio di tante professionalità che non trovano risposte lavorative in altri comparti. In questi anni i pubblici esercizi sono cresciuti di quasi il 6 per cento, pur con una contrazione del reddito d’impresa che supera il 7 per cento, mentre l’intermediazione creditizia e immobiliare, che ha visto crescere il numero di addetti indipendenti del 10,3 per cento, segna il peggior andamento del ricavo medio: -28,1 per cento.
Cresce invece il numero dei commercianti ambulanti (+15,2 per cento) sia per l’apporto degli immigrati, sia per la scelta di tanti commercianti che, chiuse i negozi a causa degli affitti troppo cari, si concentrano sui mercati itineranti.
Nel complesso, ogni imprenditore abruzzese ha sborsato al Fisco 11.363 euro, di cui 1.508 per gli enti locali: la sola tassazione locale è cresciuta del 5,5 per cento.
Il 2012, dunque, si avvia ad essere ricordato di gran lunga come uno degli anni di maggior cambiamento negativo per le piccole e medie imprese. L’artigianato abruzzese ha lasciato sul campo 3.379 attività, con un saldo negativo record rispetto alle nuove aperture: -1.048.
Nel commercio il saldo è stato negativo per 874 attività, con il record negativo a Pescara, che lascia sul campo 365 attività.
Una situazione pericolosa anche sul fronte creditizio: fra il 2007 ed il 2010 le sofferenze bancarie in Abruzzo sono cresciute del 64,8 per cento superando i 460 milioni di euro, di cui si sono fatti carico per le imprese soprattutto le cooperative di garanzia, espressione diretta degli stessi imprenditori, senza alcun tipo di intervento pubblico. Un unicum in Italia: le Regioni italiane hanno destinato ai confidi oltre 800 milioni di euro, contro lo zero assoluto erogato in Abruzzo, appesantendo così i confidi abruzzesi e riducendo la possibilità delle piccole imprese di accedere al credito alle stesse condizioni di competitor di altri territori anche limitrofi.