Nell’ultimo mese il mondo dell’energia è stato travolto da un boom di commenti, buoni propositi, intenzioni, rivelazioni, inchieste o presunte tali. Dalle dichiarazioni di Romano Prodi, di cui ho parlato recentemente, all’intervista del Ministro dello Sviluppo Federica Guidi rilasciata al quotidiano “Il Messaggero” e firmata da Andrea Bassi, passando per le conclusioni tanto discusse del Rapporto Ichese e la recente puntata di Report dal titolo “Shale Caos”.
Ho deciso di provare a fare chiarezza nel mare magnum delle affermazioni, interviste ed editoriali che incalzano, rivolgendo alcune domande al geologo Carlo Doglioni, Professore ordinario di Geologia all’Università Sapienza di Roma, Presidente della Società Geologica Italiana e Accademico dei Lincei.
In qualità di esperto geologo, qual è il Suo giudizio sul Rapporto Ichese?
“La prima considerazione è come sia stato possibile nominare una commissione per valutare se un progetto di stoccaggio di gas allo stadio di carta bollata possa aver generato un terremoto: è come chiedere se il pensiero sia realmente in grado di muovere le montagne. Il rapporto Ichese fa un’analisi delle conoscenze dell’area emiliana e suggerisce che venga realizzato un modello geomeccanico dell’area del terremoto, e siano adottate delle prescrizioni da definire per le attività future di sottosuolo. In questo penso che il rapporto sia stato comunque utile. Tuttavia, per l’opinione pubblica, l’unica informazione che rimane sono le conclusioni del rapporto, che non escludono una possibile relazione tra il pozzo petrolifero di Cavone e il terremoto emiliano del 2012, conclusioni che hanno innescato una reazione a catena, in cui l’ipotetica connessione per molti si è trasformata in certezza. Ritengo invece che esistano elementi oggettivi che indicano la non correlazione tra l’attività del pozzo di Cavone (MO) e il terremoto dell’Emilia Romagna del 2012. Vi sono due tipologie di sismicità di origine antropica: quella “indotta”, che è legata per esempio all’iniezione di fluidi nel sottosuolo, e quella “innescata” che, invece, è sì di origine naturale, ma messa in moto da attività antropiche. Tanto più sono i fluidi immessi nel sottosuolo e maggiore è la pressione con cui vengono iniettati, tanto più forte è la sismicità indotta. La sismicità innescata è invece quella naturale che viene attivata dalle operazioni di sottosuolo con le relative variazioni di pressione e sismicità indotta. La sismicità innescata, che però rimane di difficile riconoscimento perché avviene su strutture tettoniche attive che si muoverebbero in ogni modo, è comunque sempre accompagnata anche da una certa sismicità indotta. La sismicità indotta dalla reiniezione dei fluidi è nota fin dagli anni ’60, quindi non è una novità, ed è in genere però di magnitudo piuttosto bassa; in prossimità di faglie attive questa può dar luogo a sismicità innescata di magnitudo significativa e quindi il problema è indubbiamente rilevante e la correlazione tra attività di sottosuolo e terremoti è certamente possibile e sempre da considerare. Tuttavia, nei casi in cui è dimostrata al mondo sismicità indotta, c’è sempre un aumento delle pressioni dei fluidi iniettati nel sottosuolo. Nel pozzo di Cavone sono stati però reiniettati solo ed esclusivamente i volumi d’acqua estratti durante le attività del campo, quindi non sono stati aggiunti più fluidi di quelli che esistevano in sottosuolo prima della coltivazione tali da generare delle sovrapressioni o a creare un disequilibrio di carico, che sono tra i fattori che producono sismicità indotta. Inoltre, per legge di natura, i fluidi si muovono dalle zone di maggior pressione a quelle di minore pressione. E’ come il vento che spira dalle aree di alta a quelle di bassa pressione. A Cavone, alla profondità del giacimento di 3 km vi sono condizioni di sottopressione (circa 1000 bar di meno) rispetto all’ipocentro dell’evento del 20 maggio 2012 che è stato a circa 7 km, e di conseguenza è difficile comprendere come possa essersi generata una migrazione dei fluidi dove le pressioni sono maggiori e a oltre 20 km di distanza, oltretutto senza nemmeno sviluppare una sismicità indotta nell’intorno del pozzo di reiniezione. La rete di monitoraggio sismico di Cavone inoltre non ha rilevato eventi sismici con caratteristiche tali da interpretarli come indotti e quindi non è documentabile una correlazione tra sismicità indotta e naturale. Altro elemento palese: la sequenza sismica emiliana è probabilmente iniziata con il terremoto di Sermide (MN) del 17 luglio 2011, per poi svilupparsi il 20 e 29 maggio 2012 nella zona di Finale Emilia, cioè muovendosi da nordest verso sudovest, avvicinandosi al pozzo di Cavone, invece che allontanarsi, che sarebbe l’eventuale propagazione logica se Cavone fosse stata la sorgente dell’innesco. Inoltre gli ipocentri del 2011 e del 20 maggio 2012 sono localizzati su faglie e pieghe diverse e più a nordest da quella su cui è posizionato il campo di Cavone: tra le varie strutture vi sono ondulazioni delle rocce e livelli impermeabili tali da rendere una migrazione laterale e in profondità dei fluidi irrealistica”.
Ma allora perché i membri della commissione voluta dalla Regione Emilia Romagna sostengono che invece la relazione tra Cavone e il terremoto sia possibile? E’ corretto utilizzare come benchmark una sola Regione, l’Emilia-Romagna in questo caso, e applicare i risultati ottenuti ad altre Regioni come l’Abruzzo?
“Il perché risiederebbe nel fatto che durante la sequenza sismica vi è stato un aumento dei fluidi re-iniettati nel sottosuolo. In passato però, al pozzo di Cavone vi furono aumenti anche maggiori che non diedero seguito a nessun evento sismico. Il campo delle correlazioni statistiche è piuttosto minato perché si può vedere una relazione tra fenomeni del tutto scollegati, ma – come già detto – a Cavone non furono reintrodotti nient’altro che i fluidi estratti assieme all’olio. Nel caso invece della sismicità interpretata come innescata in Oklahoma nel 2011, la situazione era molto diversa: i fluidi iniettati avevano pressioni e volumi totali di gran lunga superiori a quelli originali; i pozzi erano a 200 metri dalla faglia, e l’ipocentro è stato a 3 km di profondità, praticamente dentro il campo di reiniezione. Inoltre la faglia attivata è verticale, arrivando fino in superficie: un contesto del tutto diverso da quello di Cavone.
Questo conferma che ogni caso rappresenta una storia a sé, perché cambiano le rocce, la loro permeabilità, il tipo di faglie, la quantità di fluidi e pressioni coinvolte, per cui non si può generalizzare. Emilia e Abruzzo, per esempio, hanno regimi tettonici diversi e devono essere studiati separatamente, non essendoci una regola unica.
L’Aquila e il terremoto del 2009: è possibile escludere una connessione tra le ipotetiche trivellazioni a largo delle coste abruzzesi e possibili eventi sismici nella Regione?
Dal punto di visto geologico escludo questa relazione. L’evento aquilano segue l’evoluzione naturale della catena appenninica. La sismicità è un fenomeno naturale che è sempre esistito e che continuerà indipendentemente dalle attività estrattive: quindi dobbiamo continuare a studiare come e perché avvengono i terremoti e, da subito, iniziare una capillare attività di adeguamento antisismico del tessuto abitativo, in particolare nelle zone d’Italia soggette alla maggiore pericolosità sismica.
La puntata di Report andata in onda su Rai Tre lunedì 12 Maggio ha puntato i riflettori sul fracking e sullo shale gas. Se da un lato il reportage ha avuto il grande merito divulgativo di far conoscere un tema così importante al grande pubblico, dall’altro fornisce una descrizione allarmistica della vicenda “shale”. Secondo Lei, il fracking in Italia è una strada percorribile? E in Abruzzo sarebbe ipotizzabile estrarre shale gas?
“In Italia non vi sono riserve economiche note di shale gas e, di conseguenza, nella nostra nazione (quindi anche in Abruzzo) non sono previste autorizzazioni all’utilizzo di tecniche di fracking analoghe a quelle estensive impiegate negli USA, per cui non si capisce di cosa si stia parlando. La trasmissione Report in questo ha generato un’inutile confusione, mescolando fughe di gas, inquinamenti e terremoti che in Italia sono fuori luogo, semplicemente perché non viene effettuata coltivazione di shale gas, e le tecniche estrattive o di stoccaggio adottate qui sono diverse e costantemente monitorate. Per questo ho scritto una lettera alla redazione di Report, sia per rimarcare la visione distorta della realtà che hanno presentato, sia perché nel servizio i geologi vengono additati come privi di coscienza civica”.
http://www.socgeol.it/300/2527/news/puntata_di_report_su_shale_gas_del_12_maggio_2014_lettera_alla_redazione_di_carlo_doglioni.html
Anche alla luce del dibattito sulle estrazioni petrolifere che verranno avviate dalla Croazia in Adriatico, secondo Lei potrebbe essere conveniente per il nostro Paese estrarre petrolio in Abruzzo, invece di rinunciare aprioristicamente a quest’opportunità?
“Questa è una valutazione di carattere industriale, economica e politica più che geologica, che esula dalle mie competenze e lascio rispondere altri. Da cittadino, però, pare evidente che vi sia una contrapposizione tra le giuste necessità di garantire la massima sicurezza nel campo della protezione civile (terremoti) e ambientale (inquinamento) durante l’esplorazione petrolifera, e su questo dobbiamo senz’altro migliorarci; dall’altra però dobbiamo anche renderci conto che importare dall’estero le risorse energetiche è molto più costoso per la nostra bilancia dei pagamenti, e che l’energia è il punto di partenza per la nostra società. Dall’energia a costo inferiore deriva la possibilità di avere un’industria che funziona meglio, che dà lavoro, che produce reddito per pagare l’assistenza sanitaria, l’istruzione, le pensioni, servizi pubblici, ecc., cioè far funzionare lo Stato. Nulla è a costo zero, ma siamo chiamati al miglior compromesso accettabile che salvaguardi la Natura e l’Uomo per uno sviluppo il più sostenibile possibile”.
Diego Vitali
blogger goccediverita