Pescara. “Quelli che fino alla scorsa relazione semestrale venivano indicati come segnali, per quanto qualificati, di una presenza delle cosche in Abruzzo e in Molise, grazie alle evidenze investigative raccolte nel semestre con l’operazione ‘Isola Felice’ sono diventati importanti tessere del mosaico espansionistico della ‘ndrangheta verso regioni solo all’apparenza meno ‘appetibili’.
L’operazione in parola è stata conclusa, nel mese di settembre del 2016, dall’Arma dei Carabinieri con l’esecuzione di una misura cautelare a carico di 25 soggetti, facendo piena luce sull’operatività del gruppo Ferrazzo di Mesoraca, nel Crotonese, in Abruzzo e in Molise”.
E’ questo ciò che compare scritto a pagina 110 della relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento riguardante l’attività svolta e i risultati conseguiti nel secondo semestre 2016 dalla Direzione investigativa antimafia.
Il Consigliere regionale Leandro Bracco ha sottolineato il contenuto estremamente preoccupante evidenziando che “quanto messo nero su bianco dalla DIA è l’ennesima dimostrazione che il territorio abruzzese non sia affatto vergine da infiltrazioni di matrice mafiosa ma che anzi diverse aree regionali siano estremamente attraenti per i loschi affari della criminalità organizzata calabrese che addirittura agisce a braccetto con Cosa nostra messinese”.
“La conferma – secondo Bracco – arriva sempre dalla relazione della Direzione investigativa antimafia nella quale si legge che ‘il capo ‘ndrina del gruppo Ferrazzo non solo aveva scelto di stabilire ufficialmente la propria residenza in San Giacomo degli Schiavoni, in provincia di Campobasso, ma si era di fatto reso promotore di un’associazione criminale composta sia da calabresi che da siciliani (famiglia Marchese di Messina) che operava tra San Salvo, nel Chietino e Campomarino e Termoli, nel Basso Molise”.
“E la ‘ndrangheta – evidenzia Bracco – ha trapiantato in terra abruzzese anche i suoi rituali di affiliazione e giuramento su ‘santini’ e altre immagini sacre ricollegabili a rituali di matrice pagana che, lungi dall’avere un significato meramente simbolico, sono invece la testimonianza più chiara che le radici criminose sono state messe in profondità al fine di alimentare, crescere e far prosperare il sodalizio mafioso”.
“Dalla relazione della DIA – rileva il consigliere regionale– emerge inoltre che ‘le indagini hanno ben delineato come la cosca Ferrazzo volesse ricompattarsi in Abruzzo arrivando, appunto, in un”isola felice’ per rinsaldare le proprie attività criminali'”. “Traffico di sostanze stupefacenti e armi (in prevalenza pistole, kalashnikov e fucili a pompa) e poi estorsione e riciclaggio e sequestro di immobili, attività commerciali e denaro”.
“Inoltre la scoperta di una raffineria di droga. Tutto questo fu il frutto di un’inchiesta iniziata a Termoli nel 2011 e di un’altra che prese avvio sempre nello stesso anno a San Salvo”.
“Il sostituto procuratore antimafia dell’Aquila Antonietta Picardi che ha lavorato sette anni nel capoluogo regionale abruzzese e ora è in forza presso la Procura generale della Cassazione – sottolinea Bracco – rimarcò l’importanza del ruolo di alcuni imprenditori edìli che erano a disposizione del clan per attività illecite; alcuni di loro inoltre mettevano a disposizione locali per nascondere armi e droga”.
“Tutti questi fatti sono la dimostrazione più lampante che in Abruzzo la prevenzione antimafia deve essere affinata e calibrata nella maniera più incisiva possibile senza lasciare nulla al caso.
E l’affermazione secondo cui la nostra Regione sia un’isola felice incontaminata e immune da infiltrazioni di criminalità organizzata si è rivelata per l’ennesima volta una favola. La realtà è purtroppo tutt’altra. L’Abruzzo – conclude Bracco – fa gola agli appetiti famelici della ‘ndrangheta”.