La Cina è un paese di circa 1,3 miliardi di persone che nel 2009, all’interno della peggiore recessione internazionale dal dopoguerra, è riuscita comunque a sviluppare un GDP (PIL) dell’8,7%.
Il risultato economico ottenuto nel 2009 è straordinario, ma non è il solo indicatore da tenere in considerazione per giudicare la Cina come sistema paese.
Il governo di Pechino ha reagito infatti alla crisi investendo liquidità in infrastrutture e quindi spesa pubblica, generando una crescita pilotata e bilanciando così la perdita proveniente dal calo delle esportazioni verso l’occidente.
Secondo le stime della Banca Mondiale nel 2009 ci sarebbe stato il sorpasso della Cina nei confronti del Giappone in termini di PIL. In questo modo l’economia cinese diventerebbe ufficialmente la seconda al mondo dopo quella Americana.
Se paragonassimo invece il Pil pro capite cinese a quello giapponese, vedremo come la differenza sia ancora notevole. Il reddito medio di un cinese è di circa 3.000 dollari all’anno, seppur in costante crescita, mentre quello di un giapponese è di circa 38.000 dollari. Questo ci dimostra come la ricchezza nel paese non sia ancora distribuita omogeneamente.
Resta il fatto che la Cina sta correndo verso traguardi economici e tecnologici che erano impensabili 20 anni fa. Tutto ciò grazie ad un evoluzione politico culturale che ha trasformato la nazione.
I primi segnali di apertura verso l’occidente del paese sono datati 1978, quando il governo di Beijing ha intuito che per velocizzare lo sviluppo economico della nazione era necessario collaborare con dei partner commerciali stranieri.
Questo nuovo approccio ha generato un flusso costante di investimenti stranieri nel suolo cinese che ha spinto fortemente il paese in avanti. L’idea iniziale dei politici cinesi era quella di ridurre il gap tecnologico con l’occidente tramite Join Ventures strategiche con società straniere. La Joint Venture infatti, come forma societaria, presuppone un forte scambio di know-how tra le parti che la compongono.
Tale strategia ha permesso al sistema Cina un accesso facilitato a tecnologie americane ed europee, dando la possibilità alle multinazionali straniere di poter usufruire di manodopera a bassissimo costo per l’industria manifatturiera.
Inizialmente il modello utilizzato dalle aziende occidentali era quello di produrre in Cina per poi vendere i beni in tutto il mondo, beneficiando di costi di produzione molto bassi. Questa visone sta progressivamente cambiando con la crescita del potere d’acquisto dei cinesi che, da qualche anno, sta creando un mercato interno con un potenziale di sviluppo enorme.
Adesso chi produce in Cina lo fa anche per vendere direttamente nel paese.
I tedeschi, abilissimi uomini d’affari ed eccellenti pianificatori, sono stati tra i primi a capire la straordinaria opportunità che veniva da Oriente.
Aziende come Volkswagen e Siemens sono presenti in Cina dai primi anni 80, avendo così acquisito un vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza. In particolare Volkswagen oggi possiede la più grande quota di mercato nella vendita di automobili in Cina. Nel Gennaio 2010 il settore auto cinese ha sorpassato in termini di unità vendute quello americano, storico detentore del primato mondiale.
Per le aziende di tutto il mondo si apre una nuova sfida ed un mercato infinito. Per quanto riguarda la geografia mondiale delle potenze economiche, la storia che si ripete; prima della rivoluzione industriale dell’800 la Cina aveva l’economia più sviluppata al mondo, lo scettro è passato all’Inghilterra nell’800 per poi finire nelle mani degli americani nell’900.
Nel ventunesimo secolo probabilmente si chiuderà un parentesi storica durata più di 200 anni.
Da Shanghai:
Fabrizio Ferri