Chieti. Domenica scorsa Isaiah “Zeek” Armwood ha giocato la miglior partita della sua stagione e tra tutti i giocatori della Proger è quello più cresciuto nelle prestazioni offerte dall’inizio del campionato ad oggi. Non v’è dubbio!
Dopo un periodo di forzato riposo, a causa di un duplice infortunio, è tornato più forte e deciso di prima. Mi sono chiesto quale sia il fattore di questa crescita e su quali doti e competenze fondi la sua forza. Una domanda banale che però non merita una risposta altrettanto scontata, per il semplice fatto che all’interno del pianeta Armwood niente è come appare.
Magro, allampanato, senza una fisicità ipertrofica, sembra fragile come un giunco. Ti aspetti che possa piegarsi e rompersi da un momento all’altro. Il suo stesso modo di incedere scoordinato e aritmico, non promette alcuna armonia di palleggio, di tiro o di movimento. Che sia, in aggiunta, di poche parole è dir poco, la sua comunicazione gira intorno ad un linguaggio minimalista binario, composto quasi unicamente da “yes” and “noo”. Zeek non ama le sfumature di grigio e va avanti sulla sua strada senza indecisioni. A volte sembra assente ma è solo il modo per evitare un’eccessiva interferenza nel suo sistema “perfetto”. Fuori dal campo vive con lentezza, mostrando un’aria sorniona e pigra. Le massacranti sedute atletiche del martedì, condotte dal Prof. Falasca, non sono al top del suo gradimento, durante la settimana, poi, segue il programma di lavoro con diligenza ma senza mai …esagerare…o…spingere troppo. Almeno così sembra … perché come detto in Armwood niente è come appare.
Per quanto riguarda le sue doti è presto detto, a dispetto della sua apparente fragilità, Zeek è un saltatore eccellente e un atleta dinamico. Volessimo però trovarne altri al suo livello credo non faremmo fatica, essendoci in A2 molti giocatori con piedi veloci e muscoli a molla. Andando oltre, potremmo poi individuare nel suo tiro frontale una dote, questa si, atipica rispetto ad atleti della sua altezza. Altro ? Niente che tanti non abbiano in quantità e qualità migliori di lui. Gioca da centro ma non ha i movimenti tipici di scivolamento a canestro che solitamente hanno i lunghi. In aggiunta, sotto canestro tende a irrigidirsi, ad affrettare i movimenti e giocare la palla con il palmo della mano, perdendo così la necessaria sensibilità dei polpastrelli al momento del tiro. Allora ? Dove sta “la forza” di questo giocatore ? Credo che la sua maggior dote consista proprio nella capacità di sfuggire alla trappola della competenza.
Mi spiego, giocatori con forti competenze, cioè che sanno far bene o benissimo qualcosa di molto specifico, tendono a ripetere, meccanicamente, ciò che da sempre ha permesso loro di affermarsi ed avere successo. Gli stessi allenatori, nella maggior parte dei casi, tendono a costruire il gioco della propria squadra sulle competenze forti o prevalenti nel proprio roster. “Mi affido a quello che sanno fare meglio – sostengono i più – sfruttiamo i nostri punti di forza”. Tutto lecito ma, alla lunga, improduttivo e per due ragioni principali. La prima consta nel fatto che quasi sempre la forza e la capacità si trasformano in rigidità che bloccano l’apprendimento. Nei lontani anni sessanta gli orologiai svizzeri non seppero considerare come una minaccia gli orologi al quarzo giapponesi, “Perché preoccuparci – ripetevano ii produttori della Longines o della Omega – i nostri orologi sono di gran lunga i migliori”. Risultato, la perdita totale da parte degli svizzeri del mercato degli orologi. La seconda è tutta nella capacità di adeguamento che gli altri applicano sulle competenze forti altrui. Trovate le contromosse sei fregato.
Il basket moderno, proprio per queste ragioni, piaccia o non piaccia, tende ad uscire dalle trappole delle competenze specialistiche e quindi, allo stesso tempo, tende ad andare oltre la caratterizzazione dei ruoli. Il tormentone di tutta la prima parte della stagione, nelle discussioni accesissime condotte con gli amici della “basket gang” (n.d.r. congrega settaria di senescenti e sedicenti amanti del basket di cui mi onoro di appartenere e della quale prima o poi dovrò riferire) verteva sull’assunto che il roster della Proger mancasse di un vero centro, indispensabile baluardo per intimidire gli avversari e dominare l’area rimbalzi. “Ce vò lu pivot, Armwood nenè nu pivot” e da qui un fiume di argomenti ed esempi assunti dalla storia e dalla tradizione più antica del basket. Ipse dixit. Così è da sempre, per giocare a pallacanestro hai bisogno di un pivot, così è e sarà in omnia secula seculorum. I fatti credo che abbiano ampiamente smentito costoro. Zeek, che non ha i fondamentali e quindi le competenze del centro, è oggi buon terzo nella classifica dei rimbalzisti. Recanati, che ha a disposizione il signor Lawson, dominatore assoluto della classifica dei rimbalzi è penultima.
Così è, a conferma che il basket di oggi si è già aperto da tempo ad una filosofia nuova, della quale proprio Armwood è un fedele ed esemplare interprete. Isaiah, infatti, sfugge alla trappola delle competenze imponendo uno stile di gioco che fa dell’improvvisazione la sua forza. Una cosa è certa, quando Zeek prende palla o posizione, da avversario hai sempre la difficoltà di leggere la sua giocata. Questo, però, non vuol dire che giochi per conto suo e fuori da un sistema organico. Per capire come si possa coniugare al meglio l’imprevedibilità del solista con una partitura di gioco, viene in soccorso il paragone tra il basket e il jazz, tanto simili nello spirito da offrire infiniti spunti. Armwood sta al basket, perdonate il paragone irriverente, come Miles Davis ista al be-bop. Zeek ha uno stile hard driving, veloce, dinamico, gioca sopra uno spartito fatto di accordi intricati e frasi musicali sincopate, quando ha la palla non sai realmente cosa farà, ma sai che non sarà mai banale. Può tirar fuori, come ha fatto domenica, canestri degni di assoli alla Charlie Parker, oppure steccare, complicando con un gesto in più o in meno il più facile dei canestri, provocando così le ire dei puristi delle competenze. Zeek è così ma questa è la sua forza, non il suo limite. È, a suo modo, un leader, non vive di routine ma si spinge e spinge gli altri oltre il limite del comfort. La Proger è oggi, a mio avviso, una squadra “play be-bop”, molto più di quanto si possa ritenere. Una squadra, che può vincere anche senza di lui, come avvenuto a Brescia, ma che non può prescindere da lui. Chiudo con un consiglio, per superare i limiti e le ambiguità delle parole e intuire fino in fondo il genio di Armwood, bisogna procedere così: andare su You Tube, digitare “Miles Davis – Round about midnight (1967)”, far partire la registrazione, chiudere gli occhi e ascoltare. Provare per credere!