Un appello lanciato in Senato, nel cuore dell’istituzione repubblicana, per chiedere di vigilare sulla vita di Denis Cavatassi, il ristoratore 50enne di Tortoreto, detenuto in Tailandia e condannato alla pena di morte perché accusato di essere il mandante dell’uccisione, nel 2011, del suo ex socio in affari.
Prende una piega decisamente istituzionale il caso giudiziario di Cavatassi. Questa mattina il Senatore Luigi Manconi (da poco anche direttore dell’ufficio contro la discriminazione), ha portato alla luce il caso del ristoratore di Tortoreto, condannato anche in Appello alla pena capitale e per il quale è pendente un ricorso alla Suprema Corte.
In Senato erano presenti anche Romina e Adriano, fratelli di Denis, che da anni si battono per cambiare una storia che presenta lati assurdi. Interventi intrisi di commozione nel tracciare il profilo dl ristoratore, in passato agronomo.
L’avvocato Alessandra Ballerini; Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia e l’avvocato Francesca Carnicelli, componente della Onlus Prigionieri del silenzio.
”Denis Cavatassi non ha in alcun modo avuto un processo equo che rispettasse quei diritti e quelle garanzie che tutti gli ordinamenti giuridici e tutti gli Stati di diritto prevedendo. E rischia la pena capitale. Ma ”la verità non è stata cercata e nessuna indagine minimamente adeguata è stata finora realizzata” ha sottolineato in sala stampa il Senatore Menconi.
”Chiediamo al Ministero degli Esteri e al Governo italiano di vigilare sulla vita e l’incolumità di Denis Cavatassi i cui diritti processuali sono stati costantemente violati”. Denis era stato arrestato nella primavera del 2011, a Pukhet, perché accusato di essere il mandante dell’omicidio di Luciano Butti, di Montevarchi, con il quale gestiva una delle attività in Thailandia. Tesi sempre rigettata da Cavatassi, peraltro frutto di una ricostruzione decisamente fantasiosa da parte delle autorità locali.
“Bisogna insistere – ha detto Manconi – il governo deve vigilare”. Il caso di Cavatassi, “non deve rimanere nell’anonimato degli oltre 3 mila italiani detenuti attualmente all’estero. “La diplomazia faccia sentire molto concretamente il suo sostegno e faccia capire alle autorità thailandesi che l’incolumità di Denis Cavatassi gli sta a cuore”.
Qualora Cavatassi venisse condannato definitivamente, avverte Manconi, quello che è possibile fare, oltre a chiedere alla Farnesina e all’esecutivo di fare “forti pressioni politiche” sulle autorità thailandesi, “è esigere che venga applicato il trattato di cooperazione dell’84 firmato dai due governi e la convenzione internazionale alla quale ha aderito l’Italia, che prevedono che il detenuto italiano condannato in un Paese che abbia sottoscritto quel trattato possa, una volta esaurito l’iter giudiziario del Paese dove è stato condannato, scontare la pena in Italia”. Per ora, chiede l’avvocato della famiglia, “abbiamo bisogno di una scorta mediatica. In questo momento Denis sta subendo torture e rischia la pena capitale”. Infine, conclude, “verificheremo se un procedimento sia stato aperto in Italia visto che è stato offeso un italiano all’estero”.
LA CONFERENZA STAMPA INTEGRALE