Gianguido D’Alberto, ex consigliere comunale di opposizione, analizza l’esito negativo sulla candidatura di Teramo a capitale della cultura 2020.
“Manifesta due profonde verità – sottolinea – da un lato, l’eredità pesantissima lasciata dalla fallimentare esperienza politica di 13 anni di centrodestra teramano che non è stato in grado di governare i processi di sviluppo della nostra comunità, il cui tessuto etico, sociale, economico e culturale è oggi tutto da ricostruire; dall’altro, una vitalità straordinaria ed inespressa della nostra città che ha tutte le carte in regola, oltre che il dovere, di recuperare e rivendicare, sul piano sostanziale, il proprio ruolo di capoluogo di provincia. La candidatura di Teramo a capitale della cultura era apparsa fin da subito velleitaria, non perché la nostra città non ne avesse – e non ne abbia – le potenzialità. Tutt’altro. La centralità della riqualificazione dell’ex manicomio coordinata dalla Nostra Università, con la lungimirante previsione di una cittadella della cultura ne è un esempio lampante”.
Per D’Alberto “la bocciatura è, in realtà, figlia della mancanza di visione strategica del fallimentare modello Teramo che ha lasciato la nostra città all’anno zero. Partendo da questo presupposto è corretta la lettura secondo cui la bocciatura deve essere colta non come una sconfitta ma come un punto di ripartenza. Teramo negli anni del centrodestra è stata raccontata per ciò che non è, non è stata valorizzata per ciò che ha e per ciò che può. Ci si è dimenticati delle sue enormi potenzialità, perché la città è servita ed è stata asservita ai destini politici di chi l’ha mal governata. Al di là di parole e annunci, si è rinunciato a dare una visione alla città, non si è lavorato sulla sua identità, sui valori che ne permeano storia, tradizioni, economia e cultura”.
Per l’ex Pd “ora bisogna recuperare il terreno perduto, partendo da un punto fondamentale, che riassume e definisce ogni cosa: il ruolo di capoluogo di provincia; ruolo inteso però non come mera attestazione, non come condizione che ingessa il territorio in sterili posizioni di campanile, non come situazione di privilegio, vanto o vuoto riconoscimento di legge.”.