“Com’è noto la crisi di funzionalità del Parlamento in questi anni è andata crescendo:
paralisi decisionali ed esasperanti; ritualità e ripetitività dei dibattiti; dispersione e frantumazione dell’attività legislativa; eccessiva interferenza dei gruppi di pressione settoriali; legislazione spesso farraginosa e tecnicamente inadeguata; abnorme produzione di leggine; scarso vigore dell’attività di controllo; gran mole di decreti legge. I governi spesso invocando arbitrariamente la necessità e l’urgenza fanno ricorso ai decreti che umiliano, comprimono, esautorano il Parlamento, il quale – ben lungi dall’essere il luogo delle grandi decisioni e della sintesi – è diventato il luogo della spartizione del potere, con la conseguenza che si è creata una frattura pericolosa tra istituzioni e cittadini.
Nella seduta del Senato della Repubblica del 6 giugno del 1990 i senatori Pecchioli, Tossi Brutti, Maffioletti, Tedesco Tatò, Franchi, Cossutta e Vetere presentarono i seguenti emendamenti all’articolo 1. Il secondo comma dell’articolo 56 della Costituzione è sostituito dal seguente: “Il numero dei deputati è di 400”. Il secondo comma dell’articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente: “Il numero dei senatori elettivi è di 200”. Fui incaricato dal gruppo di illustrare queste proposte. Tra le tante argomentazioni svolte, sostenevo: “Emerge con chiarezza e con forza che il numero dei parlamentari è troppo alto. Affermavo questo non già perché sollecitato da spinte populistiche, ma soprattutto perché propugnavamo al tempo stesso il superamento del bicameralismo perfetto assegnando a ciascuna Camera compiti e funzioni diversi”.
L’ipotesi che noi avanzavamo contemplava un Parlamento con un numero ridotto di parlamentari rispetto a quello attuale; bicamerale per le leggi fondamentali (leggi in materia costituzionale, elettorale, di bilancio, ratifica dei trattati, leggi comunitarie); monocamerale per tutte le altre leggi, con l’attribuzione della funzione legislativa, in via generale, alla Camera dei Deputati. Per quanto attiene le leggi di principi nella materia regionale e le leggi di iniziativa regionale la competenza spettava al Senato.
In questi anni si è sempre più accentuata la distanza tra eletti ed elettori. Fino al 1992 vigeva il sistema proporzionale con le preferenze. Nel 1994 con il Mattarellum la scelta era affidata al confronto tra i candidati. Con il sistema attuale nessuno sa più come e dove i deputati e i senatori vengono eletti. Nella nostra regione, tanto per fare un esempio, ci sono dei parlamentari che non hanno mai avuto rapporti con l’Abruzzo ed ignorano i problemi che travagliano le nostre popolazioni. In questa situazione i cittadini reclamano efficienza, trasparenza, moralità e diritto di partecipare per sapere e soprattutto per contare. Sulle riforme istituzionali c’è molta disquisizione, ma il problema essenziale è questo: come riformare le istituzioni, come dare un ruolo ad esse, come ridare al cittadino una capacità di intervento che aiuti davvero a rinnovare la società e, con essa, il sistema politico dei partiti. Ora, adottare una modifica costituzionale al di fuori di qualsiasi disegno di riforme istituzionali peggiorerà la situazione. Costituisce un pericolo per la democrazia perché si affermerà un sistema dove gli elettori non avranno alcun potere. Un grosso regalo alle lobbies economiche e finanziarie. I territori periferici con meno abitanti non avranno rappresentanti. I parlamentari saranno scelti dalle segreterie dei partiti che provvederanno a compilare liste bloccate. Altro che potere al popolo! Questa riforma è figlia dell’antipolitica e del populismo. E’ concepita da chi identifica il Parlamento con le poltrone e vede con fastidio le istituzioni. Un’altra medaglietta da appuntare sull’abito ormai logoro dei grillini.
Essa non può essere condivisa da chi vive la politica con spirito di servizio, da chi crede nella politica come impegno ideale e strumento essenziale per affrontare e risolvere i problemi della gente, soprattutto delle nuove generazioni, dei diseredati, degli emarginati e dei più bisognevoli di aiuto.
Lo so. Molti cittadini, soprattutto quelli delle periferie, voteranno sì perché credono di votare contro la casta e i suoi privilegi. A questo punto, domando: “Perché questo imbroglio; perché questo inganno rischia di diventare prevalente? Perché i partiti della sinistra e le forze di progresso non sono più strutturati sul territorio, non vivono in simbiosi con i cittadini e spesso ne ignorano le esigenze, i bisogni e le aspirazioni. In questa vicenda non hanno saputo svolgere alcuna funzione. Sono stati incapaci di dirigere e di orientare le masse popolari. Non sono riusciti a spiegare ai cittadini che questa riforma li spoglia di ogni potere e che il loro disagio, le loro sofferenze, le loro afflizioni non derivano da quei privilegi – che pure vanno cancellati – , ma dalle scelte politiche ed economiche sbagliate che hanno determinato l’aumento della disoccupazione e delle disuguaglianze, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e lo scivolamento di larghi settori del ceto medio nella miseria e nell’indigenza”.