Teramo 3.0 ribadisce il suo no alle trivelle in Abruzzo e ne analizza punto per punto i perché.
In primo luogo, secondo Teramo 3.0, “il petrolio eventualmente da estrarsi in Abruzzo sulla scorta dei permessi di ricerca per terra e per mare non sarà né dei cittadini né della Regione e neppure dello Stato, bensì dei privati titolari di una concessione di estrazione; ragione per cui la retorica dell’autosufficienza energetica derivante dalla estrazione di idrocarburi in Abruzzo è un attentato alla verità da stigmatizzare in ogni sede”.
Il secondo motivo valica invece i confini nazionali, perché “le società petrolifere autorizzate a ricercare e coltivare idrocarburi nel nostro territorio non sono di proprietà pubblica – afferma Teramo 3.0 – e potrebbero essere sin da oggi di proprietà russa o comunque straniera, per cui ventilare una perniciosa dipendenza italiana dal gas russo (o comunque dall’energia acquistata dall’estero) non vale in alcun modo a giustificare l’assenso alla estrazione di idrocarburi nel nostro sottosuolo”.
Il terzo motivo per cui dire no alle trivelle è legato alla legislazione italiana che “prevede una contropartita ridicola al rilascio dei permessi di ricerca e coltivazione, sia perché esiste una franchigia di molte tonnellate di idrocarburi che viene regalata senza contropartite alle società estrattrici, sia perché su tutto il resto degli idrocarburi estratti si applicano delle royalties corrispondenti al 7% (per le attività in mare) e al 10% (per quelle in terraferma). Di questa percentuale solo il 55% ci viene restituito dallo Stato ed esso è così ulteriormente ripartito: alla Regione il 40% e ai Comuni (interessati dalla petrolizzazione) il 15%. Ne deriva che della ricchezza economica ed energetica estratta dal sottosuolo regionale tornerebbe alla comunità abruzzese un misero 3,5%–5,5%”.
Secondo Teramo 3.0 non sarebbe neanche da prendere in considerazione l’ipotesi di creare nuovi posti di lavoro, perché, ad esempio, “la Basilicata è stata stuprata da molto tempo dalle industrie petrolifere. Alle poche decine di posti di lavoro creati ha fatto da contraltare la perdita di centinaia di posti in agricoltura, nell’allevamento, nel turismo e nell’enogastronomia, con danni incommensurabili non solo al paesaggio, ma all’economia della intera Regione”.
Infine, l’associazione sottolinea “l’allarme sui contenuti della Strategia Energetica Nazionale (SEN) formalmente approvata dal governo italiano nel 2013, in base alla quale l’Abruzzo dovrebbe divenire un distretto minerario a tutti gli effetti (unitamente ad altre 4 Regioni), e nella specie una sorta di polo tecnologico e logistico, con la costruzione di raffinerie. Ovvio che in tale contesto, nessun abruzzese può né deve sentirsi tranquillo”.