Il Rettore dell’Università dell’Aquila, in un accorato appello del settembre 2010, ha chiamato a raccolta le altre due Università abruzzesi, nel tentativo di proporre loro una federazione a tre, affinché ne risultassero esaltate le eccellenze e razionalizzati i costi, posto che i tagli statali e la crisi economica non consentivano più di mantenere in piedi le tre strutture universitarie, così come a suo tempo pensate. A questo appello, il 5 luglio 2011 ha risposto con un cortese “No” il Rettore dell’UniTe, Rita Tranquilli Reali; ma il 18 novembre 2011, vi avrebbe parzialmente ripensato, visto che nel nuovo statuto adottato ha previsto la possibilità di federare l’ateneo teramano con altri atenei, escludendo, peraltro, la componente politica dal nuovo CDA, in favore di una componente che fosse di natura tecnico/scientifica. Sempre nel luglio 2011, il Sindaco di Teramo, Maurizio Brucchi, ha preso pubblicamente posizione sulla vicenda, al grido di: “Teramo non si tocca”, avvertendo che l’indipendenza dell’Università di Teramo non potesse essere messa in discussione e sottolineando come la proposta del Rettore dell’Aquila fosse un artificio volto a fagocitare Teramo. Salvo, poi, nel giugno di quest’anno, togliere il sostegno finanziario alla Fondazione universitaria dell’UniTe, sul presupposto che il Comune non ne facesse più parte, e chiedendo la restituzione dell’edificio concesso in comodato d’uso all’UniTe (l’ex Scuola Media Molinari, istituto adeguato e ristrutturato secondo le esigenze della Facoltà di Veterinaria, investimento effettuato dalla stessa Università di Teramo). Nel frattempo, l’assedio all’ateneo teramano (che di certo non naviga in buone acque) arriva da tutte le parti, beneficiando del “sostegno” della politica locale: che, da una parte, afferma di alzare barricate a tutela dell’autonomia dell’Università, mentre, dall’altra, compie scelte ed opera affinché la stabilità e il futuro dell’Ateneo siano seriamente compromessi. Il 27 novembre 2010, in provincia di Teramo, apre i battenti un’altra Università: l’UniAdriatica. Si tratta di un’Università telematica, partner dell’Università “La Sapienza” di Roma, il cui presidente è l’avvocato Aladino De Paulis, il quale, pare sia essere vicino alla corrente “tancrediana” del Pdl e fino a pochi giorni fa vice-presidente della Banca di Credito Cooperativo di Teramo, al fianco del compianto Antonio Tancredi. L’UniAdriatica apre corsi di Giurisprudenza ed Economia, andando, di fatto, a concorrere con l’Università teramana. Il tutto nella indifferenza dell’opinione pubblica, nella velata protesta del Rettore dell’UniTe, nel finto dissenso del Pdl e nella isolata condanna di un circolo territoriale del Pd Teramo (il circolo di Teramo Est, per voce del suo segretario Maurizio Sciamanna), mentre il Pd provinciale rimane silente, risultando “non pervenuto” (ma questa non è una novità). Il 28 febbraio del 2011, con una lettera sottoscritta dai Rettori dell’Università D’Annunzio e dell’Università telematica Da Vinci e inviata al presidente del Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario (CNVSU), si rende nota l’intenzione di procedere alla fusione tra le due Università. Atto, questo, che comporterebbe l’immissione, nell’offerta formativa del polo universitario Chietino e Pescarese, della Facoltà di Giurisprudenza e di alcuni corsi di Economia, così da porre la D’Annunzio in diretta concorrenza con l’UniTe. È notizia del 3 giugno che la Conferenza dei Rettori Abruzzesi, ha respinto la proposta di fusione avanzata dalla D’Annunzio; con due dati, però, che sorprendono e non poco: il primo è che non è un “No” definitivo, ma solo un parere sul quale, poi, il Ministero dell’Università e della Ricerca si esprimerà definitivamente; il secondo è che la votazione è finita in parità, con un eccellente astenuto. Hanno votato a favore: Carmine Di Ilio (Università di Chieti/Pescara) e Maria Grazia Cifone (Università dell’Aquila); hanno votato contro: Rita Tranquilli Reali (Rettore dell’Università di Teramo) e il rappresentante degli studenti. A conti fatti, il dato politico rilevante è che il Governatore della Regione Abruzzo, nonché teramano e di area tancrediana, Gianni Chiodi, si è astenuto.
Il suo NON esprimersi sull’argomento ha, nei fatti, rimesso nelle mani di un rappresentante degli studenti la responsabilità di “salvare”, almeno momentaneamente, l’Ateneo teramano da un nuovo ed insidiosissimo competitor, tradendo non solo la sua teramanità e la memoria di Tancredi, ma anche l’interesse pubblico della Regione (affinché su un così piccolo territorio non vi siano due Facoltà di Giurisprudenza). Ed ora si provi ad immaginare come si esprimerà il Ministero quando vedrà che due Università abruzzesi su tre si sono espresse favorevolmente a questa proposta di fusione, mentre la Regione Abruzzo … non ha alcuna idea in proposito! Né un “Sì”, né un “No”! Ma la domanda da porsi è: perché L’Aquila avrebbe dovuto favorire la fusione di un’Università pubblica (quella di Chieti/Pescara) con un’Università privata (quella telematica)? Semplice: perché il 1° giugno l’Università dell’Aquila, con la complicità della Regione Abruzzo, ha inaugurato un corso di studi presso la propria sede, tenuto (indovinate un po’?) proprio dall’Università telematica Leonardo Da Vinci; la stessa, cioè, che vorrebbe fondersi con la D’Annunzio di Chieti/Pescara. Ergo: l’Università dell’Aquila, a questo punto, ha tutto l’interesse perché Teramo scompaia (magari anche nella non troppo recondita speranza che un domani possa spartirsi le attuali facoltà teramane con Chieti). Basta fare un giretto su internet per scoprire che l’Università telematica “Leonardo Da Vinci” organizzerà alcuni corsi – patrocinati dalla Regione Abruzzo – nella sede dell’Università aquilana, il primo dei quali sarà gratuito e riservato a 40 studenti, selezionati tra laureati e consiglieri di parità regionali e provinciali, nonché scelti tra i membri delle Commissioni di Pari Opportunità regionali, provinciali e comunali. Basta, inoltre, accedere alla Home page del sito della Regione per scoprire che dal 1° giugno è in vigore una legge regionale che istituisce…la Commissione per le Pari Opportunità (quando si dice il caso!). Allora, una domanda sorge spontanea: perché, se tutti i politici di centrodestra, commemorando Antonio Tancredi, hanno ricordato i suoi sforzi volti ad istituire e a far ottenere l’autonomia all’Università teramana, si prodigano, poi, in azioni, che mettono a repentaglio il futuro della stesso Ateneo in favore di altre realtà universitarie pubbliche ed anche private? Certo, se l’UniTe oggi non naviga in buone acque è anche a causa di una gestione non proprio lungimirante, e questo è bastato, probabilmente, a condannarla ad un futuro senza futuro e con esso l’economia della città. È sufficiente leggere i dati del conto consuntivo del 2010, pubblicato a gennaio 2012 e consultabile on-line, dal quale si evince chiaramente che l’Ateneo teramano è in fondo a tutte le classifiche e che, al contempo tende a perdere, progressivamente, studenti e finanziamenti pubblici. Tra il 2009 e il 2010 l’Unite ha perso qualcosa come 1 milione e mezzo di euro di fondo di finanziamento ordinario; nel triennio 2008/2010 ha avuto una riduzione del 10% circa delle proprie entrate; ha eroso sostanzialmente il fondo cassa, che è passato dai 7 milioni del 2008 ai 2 milioni e 900 mila euro del 2010; fino a leggere tra le righe della relazione che il disavanzo di competenza, pari ad 1 milione e 366 mila euro, viene coperto dall’avanzo di amministrazione e porta l’avanzo finanziario effettivamente disponibile al 31/12/2010 a 1 milione 548 mila euro! Se si sono persi 2 milioni di euro solo di FFO tra il 2008 e il 2010, si sono ridotti negli anni anche altre forme di finanziamento pubblico, come il cofinanziamento per gli assegni di ricerca (passato dai 41 mila euro del 2008 ai 2 mila euro del 2010!), il fondo per sostenere la mobilità degli studenti (che ha perso 30 mila euro); mentre altre forme di finanziamento sin sono ridotte: da 69 mila euro a zero euro (finanziamenti degli altri Ministeri), dai 61 mila euro dall’Anagrafe studenti del 2008 allo 0 del 2010. Senza contare che i dati pubblicati dal MIUR sulle immatricolazioni ci dicono che, nel raffronto tra il 2004 e il 2011, le iscrizioni sono crollate inesorabilmente. Insomma, questi indicatori contabili non inducono a pensare positivamente. È triste, infine, notare che, tutti gli Enti territoriali governati dal questo centro-destra teramano, favoriscono la formazione dei propri dirigenti e dei propri consiglieri presso corsi organizzati dalla LUISS di Roma e dalla Bocconi di Milano, precludendo all’UniTe, la possibilità di offrire un servizio che le garantisca un nuovo introito economico. Probabilmente, lo scacchiere geopolitico del grande gioco delle Università è completamente cambiato: L’Aquila, che aveva proposto a Teramo di federarsi nel 2010, ora sembra coltivare altre ambizioni, avendo, così sembrerebbe, stretto un patto d’acciaio con l’Università di Pescara; mentre quest’ultima sta attendendo che l’UniTe passi a miglior vita, in modo da avere il predominio universitario nel territorio abruzzese e, per questa via, conseguire posizioni di spicco nel panorama universitario italiano. Ma in tutto questo, se il Pdl pubblicamente difende l’UniTe, salvo poi avvantaggiare dietro le quinte altri istituti (in buona parte privati e in alcuni casi direttamente controllati da uomini, paradossalmente, “vicini” alla corrente Tancredi), il centro-sinistra – come si diceva – tace. E nel centro-sinistra il Pd provinciale di Teramo vanta persino un responsabile per l’Università, che dovrebbe far parte del CDA dell’UniTe e sia detto per inciso: il segretario Robert Verrocchio non può, dunque, non sapere. Onde evitare di toccare un argomento così delicato, egli evita accuratamente di prendere posizione sulla vicenda. Se nel 2012 dovesse confermarsi il trend negativo per l’Università teramana, e anche alla luce delle riforme legislative sull’Università, che intendono premiare gli Atenei più virtuosi e colpire quelli dai conti disastrati, è facilmente ipotizzabile l’arrivo, presto o tardi, di un commissario, che, di fatto, decreterà la morte di questa alta Istituzione culturale teramana. Un’Università che in 18 anni è cresciuta più di quello che poteva permettersi e a cui non basterà una semplice cura dimagrante per rimettersi in gioco. Sarà necessaria una nuova strategia politica, affinché si imponga la Federazione delle 3 Università pubbliche abruzzesi, escludendo i competitor privati da questa corsa per la sopravvivenza. Quello che si può fare è sensibilizzare la città, i media, i cittadini, i movimenti, le forze politiche sane, chiedendo loro di aprire un dibattito pubblico sul tema, affinché l’Università non finisca di sciogliersi come neve al sole e affinché non sia vanificato il lavoro di tanti professori, il futuro di tanti amministrativi e i vantaggi che, questa Università, nonostante tutto, ha prodotto per Teramo.
Stefano Alessiani, delegato provinciale del Pd