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Una soluzione per la Riserva del Borsacchio

Una soluzione per la Riserva naturale del Borsacchio. È quanto suggerito in un dettagliato intervento da Enzo Di Salvatore, docente di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Teramo.

Di seguito la pubblicazione integrale

1. Non è mia intenzione entrare nel dibattito politico relativo alla spinosa questione del Borsacchio ed indagare quali reali ragioni o interessi sorreggano le diverse proposte avanzate. Il mio intervento ha un obiettivo più contenuto: verificare se quelle proposte si mantengano entro la cornice tracciata dal diritto e suggerire, in caso contrario, una diversa soluzione al problema.
Le proposte al momento sono tre: 1) ripensare i confini della riserva (Ruffini; Rabbuffo); 2) introdurre una deroga alle norme di salvaguardia (Acerbo, Sorgi, WWF); 3) abrogare la riserva (Venturoni). Le prime due hanno un medesimo obiettivo: alleggerire i vincoli che gravano sui centri edificati presenti nella riserva e in particolar modo sul quartiere dell’Annunziata di Giulianova. Diversa, tuttavia, è la strada indicata per conseguire tale risultato: nel primo caso, si sostiene che occorra ridurre la riserva; nel secondo, che sia sufficiente introdurre una deroga alla legge vigente, senza modificare, dunque, il perimetro della riserva.
Tutte e tre le proposte avanzate sono, a mio parere, illegittime.
Circa le proposte nn. 1) e 3) va osservato che nulla impedisce che i confini di una riserva possano essere ripensati, né che la riserva possa essere soppressa. In ambedue i casi, però, occorre seguire il procedimento previsto dalla legge dello Stato, e cioè acquisire il parere degli Enti locali interessati. Dopo la sentenza della Corte costituzionale sulla Pineta Dannunziana (sentenza n. 14 del 2012) non vi sono più dubbi in proposito. E chi promuove una nuova perimetrazione della riserva si richiama a ragione proprio a detta sentenza, sostenendo: a) che una nuova perimetrazione della riserva sia necessaria per “sanare” l’illegittimità della legge istitutiva del 2005 (varata senza il parere degli Enti locali) (*); b) che sulla proposta di nuova perimetrazione della riserva gli Enti locali interessati si sarebbero già pronunciati.
Ebbene, se è vero che, più in generale, ogni legge di istituzione di una riserva deve essere sempre preceduta dal parere degli Enti locali, è altrettanto vero, però, che detto parere deve darsi sempre in Conferenza, ossia su una medesima omogenea proposta e non attraverso unilaterali delibere adottate dai Consigli comunali: i pareri dei Comuni di Giulianova e Roseto, al contrario, non sono stati resi in Conferenza, ma attraverso due distinte delibere adottate dai rispettivi Consigli comunali. Delibere, queste, che non si esprimono neppure sulle proposte avanzate in Consiglio regionale, ambendo esse a porre sul tappeto una autonoma e diversa soluzione (del tutto inutilizzabile, in quanto non conforme alle condizioni fissate dall’art. 4 della legge regionale n. 38 del 1996). Si aggiunga, infine, che su nessuna delle proposte avanzate si è mai espressa la Provincia di Teramo.
Un discorso a sé merita, invece, la proposta n. 2), che arriva dal dott. Sorgi. Con essa si vorrebbe introdurre una modifica alle norme di salvaguardia, stabilite dalla legge regionale del 2005. In questo modo, si vorrebbero consentire il “completamento funzionale” delle attività, degli edifici e delle strutture esistenti, “gli interventi previsti e il vigente contratto di quartiere dell’Annunziata”. I dubbi di legittimità che si nutrono in proposito si appuntano sul fatto che l’art. 6, comma 3, della legge n. 394 del 1991 dice a chiare lettere che eventuali deroghe alle misure di salvaguardia adottate (quindi: tanto a quelle adottate dallo Stato, quanto a quelle adottate dalla Regione) sono consentite unicamente dal Ministro dell’ambiente con provvedimento motivato. La Regione, dunque, non avrebbe competenza al riguardo.

2. La legge n. 6 del 2005 afferma che è “istituita la Riserva Naturale Regionale Guidata “Borsacchio” nel territorio del Comune di Roseto degli Abruzzi (Te)”. Allo stato attuale dei fatti, la riserva risulta protetta solo da provvisorie norme di salvaguardia. Questo comporterebbe che si applichi l’art. 6 della legge del 1991, dedicato, appunto, alle “misure di salvaguardia”. Prima di spendere qualche parola in ordine a detto articolo, risulta, però, utile verificare quel che stabilisce la legge regionale del 2005. Secondo quanto si legge al suo art. 69, il Comune di Roseto degli Abruzzi, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, avrebbe dovuto provvedere a tutta una serie di adempimenti: procedere alla “sistemazione dei cartelli segnaletici perimetrali e di quelli lungo le strade di accesso alla Riserva”, “definire, mediante apposite delibere consiliari, l’organo di gestione della Riserva, la relativa composizione, nonché le forme ed i modi attraverso cui si attuerà la gestione della Riserva stessa”, approvare il “Piano di Assetto Naturalistico” e il “regolamento di esercizio”, ecc. Ma così non è stato. Questo ha comportato che la competenza (provvisoria) passasse nelle mani della Giunta regionale (**).
Il problema è, dunque, il seguente. L’art. 69 della legge regionale sancisce alcuni divieti, che – al momento – sono fatti valere dalla Giunta regionale. Detti divieti, tuttavia, sono differenti e ulteriori rispetto a quelli individuati dalla legge dello Stato. All’art. 6 della legge del 1991 si dicono due cose: 1) che fino all’approvazione del regolamento operano i divieti posti dal successivo art. 11 (e tra questi non figura “la costruzione di nuovi edifici”, annoverata, invece, tra i divieti recati dalla legge regionale) (v. utilmente anche Cass. pen. Sez. III, (ud. 21-05-2008) 16-09-2008, n. 35393); 2) che l’esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti sono vietati fuori dai centri edificati e che eventuali deroghe alle misure di salvaguardia in questione sono adottate unicamente dal Ministro dell’ambiente. Nei centri edificati questo divieto non sussiste. Nel senso che esso non è automatico – come invece vorrebbe la legge della Regione – ma consegue solo ad un provvedimento motivato e solo per gravi motivi di salvaguardia ambientale. Riassumendo: in relazione alle aree protette regionali, fuori dai centri abitati la regola è il divieto di edificazione; nei centri abitati la regola è la possibilità di edificare. Nel primo caso, può consentirsi l’edificazione solo dietro provvedimento motivato del Ministro. Nel secondo caso, la possibilità di edificare può essere negata solo con provvedimento motivato della Giunta regionale e solo per gravi motivi di salvaguardia ambientale. Se questa ricostruzione non dovesse essere del tutto peregrina, la soluzione al problema potrebbe anche essere la seguente: lasciare intatta la riserva con gli attuali confini e abrogare il novero dei divieti fissati all’art. 69 della legge regionale. L’abrogazione dei divieti comporterebbe l’automatica applicazione di quelli della legge statale. In alternativa, qualora lo si volesse, potrebbero anche sostituirsi i commi 19 ss. con un’unica disposizione, che rinvii espressamente ai limiti fissati dalla legge n. 394 del 1991.
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(*) Che la legge del 2005 possa essere dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale costituisce un epilogo assolutamente remoto. Il Governo, infatti, può impugnare le leggi regionali solo entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. In relazione alla legge del 2005, questo termine è, dunque, ampiamente scaduto. Residuerebbe, pertanto, solo una strada: quella del giudizio in via incidentale. Ma anche questa ipotesi appare meramente teorica, in ragione del fatto che se un privato agisse in sede giurisdizionale contro il diniego opposto dalla P.A. difficilmente potrebbe, poi, far valere l’illegittimità della legge del 2005, adducendo quale argomento che essa sia stata adottata senza il parere degli Enti locali. La questione, infatti, pur essendo fondata, sarebbe del tutto irrilevante ai fini della decisione del giudice. E se  venisse sollevata dinanzi alla Corte costituzionale, questa la dichiarerebbe  per certo inammissibile. Diversa sorte, invece, avrebbe una nuova legge di riperimetrazione o di soppressione della Riserva: in questo caso, i termini per l’impugnazione del Governo decorerebbero nuovamente dalla pubblicazione della legge.

(**) La legge della Regione Abruzzo sulle aree protette del 1996 stabilisce che in caso di inerzia del Comune la gestione dell’area passi alla Provincia (art. 21). Con D.G.R n. 1153 del 2008 le funzioni relative al Borsacchio sono state, quindi, trasferite in capo alla Provincia di Teramo. A parere di chi scrive, però, la legge del 2005, stabilendo che ciò spetti alla Giunta regionale, costituisce disciplina speciale rispetto a quella generale del 1996. Questo comporta che il trasferimento delle funzioni dalla Giunta regionale in capo alla Provincia possa darsi solo con legge, che espressamente deroghi a quella previsione. La delibera del 2008 è, pertanto, illegittima.

 

Enzo Di Salvatore