Parco Nazionale del Gran Sasso, Lega Nord contro la gestione di Diaconale

di_matteoTeramo. Un ente che va avanti senza una tattica e una strategia e con un presidente a metà, Arturo Diaconale. Così Mauro Di Matteo, responsabile circoscrizione Gran Sasso di Lega Nord di Teramo, commenta la situazione stagnante in cui verserebbe il parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.

Stando, infatti, a quanto raccontato dal politico, non sarebbe stato ancora raggiunto alcun tipo di accordo tra i Comuni che compongono la Comunità del Parco, definiti ironicamente dallo stesso Di Matteo come “i sette nani”, che non si mettono d’accordo sui rappresentanti al tavolo del Cda mentre, nel frattempo, “Arturo Biancaneve se ne sta nel suo convento di Assetgi a organizzare presentazioni di libri e cortometraggi di amici delgi amici”.

“Appena 25 anni” racconta Di Matteo “fa i teramani di montagna si confrontarono su cosa potesse significare sottoporre una vasta area del proprio territorio a tutela attraverso uno strumento come l’istituzione di un Parco nazionale. La parola magica su cui si cercò di trovare convergenze fu sviluppo. Le popolazioni locali nel breve tempo ebbero le prime avvisaglie di cosa stava accadendo e si trovarono a dover consegnare a una burocrazia antidemocratica di nomina romana quanto di più bello e incontaminato loro e i loro padri avevano modellato attraverso un’equilibrata azione nello svolgimento delle attività tradizionali: la montagna sacra. Ma il volano di sviluppo nel breve tempo si dimostrò subito un tentativo di cablaggio territoriale dove invece di un progetto strategico territoriale, ci si accanì da subito sulle attività tradizionali del territorio (taglio dei boschi, allevamento, coltivazioni tradizionali). L’impegno preponderante fu quello di dimostrare che quello che le popolazioni avevano fatto sino ad allora, non era più necessario, o meglio evitarlo, perché quei allora individuati “montanari”, sarebbero diventati tutti operatori turistici con il beneficio di poter dimenticare in fretta tutti i sacrifici delle attività tradizionali. Ma il paradosso consiste nel fatto che tutti i buoni propositi e le ingenti quantità di soldi pubblici sperperati non solo non sono serviti come promesso a cambiare faccia a questi territori ma hanno rappresentato un acceleratore di abbandono, spopolamento e miseria, tanto da provocare un grido di allarme, che passa anche dalla considerazione del vuoto politico nella gestione dell’Ente dove è istituzionalizzata la marginale rappresentanza delle popolazioni locali e dove spesso le beghe di palazzo danneggiano l’unica specie animale non protetta: il teramano di montagna”.

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