Tortoreto. Tra non molto il nuovo strumento urbanistico approderà in consiglio comunale per le adozioni di rito. Anzi. Giovedì prossimo ci sarà un preambolo, visto che all’ordine del giorno si parlerà del tema con una richiesta da parte delle opposizioni consiliari.
Sull’argomento, nel frattempo, ospitiamo le riflessioni di Franco Coccia, storico ambientalista e presidente del Comitato Tortoreto ’95, che nel corso degli anni ha sempre avuto una posizione di pungolo e di critica talvolta, sull’attuale strumento urbanistico.
L’intervento
Oggi è più che mai opportuno riflettere sul Piano Regolatore, visto che l’attuale amministrazione sta redigendo quello nuovo con il progettista Marco D’Annuntiis. E’ necessario ripartire dall’insuccesso dell’ultimo piano, il PRE (Piano Regolatore Esecutivo) del 1999-2000. Un Piano che aveva creato entusiasmo tra i cittadini e soprattutto tra gli imprenditori, che vedevano la possibilità di realizzare i propri obiettivi. Un entusiasmo che, dopo buona parte della sua realizzazione, si è trasformato in delusione e spesso in sconforto. Anzi se guardiamo i vari costruttori locali che speravano in una grande possibilità di avanzamento economico, sono stati i più svantaggiati e la maggioranza di essi oggi sono sull’orlo del fallimento. Perché un Piano come il PRE che aveva alimentato tante speranze e aspettative si è trasformato in un insuccesso per tutti, in un progetto urbanistico fallimentare? Cosa c’era di sbagliato in quel PRE? Oggi molti si pongono questa domanda, ma finora non c’è stata risposta e tantomeno un pronunciamento pubblico che permettesse ai cittadini di aprire un dibattito in merito. Certo non è facile aprire tale discorso da parte di chi dovrebbe ammettere i propri errori, ma senza una profonda riflessione e una presa di coscienza di essi correremmo il rischio di sbagliare ancora. Non credo di essere presuntuoso nell’affermare che le cause di tale fallimento non sono così difficili da individuare, essendo chiare fin da allora. Infatti, insieme al Comitato “Tortoreto 95”, del quale ero responsabile, eravamo tra i pochi ad opporci pubblicamente a quel Piano, se non i soli. E non ci volle “tanta scienza” per comprenderne i difetti sostanziali fin dalla sua nascita. Fu sufficiente mantenere un po’ di buon senso, rimanere con i piedi per terra senza lasciarsi coinvolgere dall’emotività collettiva, prendere visione delle leggi di riferimento come il D.M. 1444 del 1968 per avere chiaro dove stavamo andando. Infatti, rileggendo i diversi volantini di allora e le osservazioni inoltrate al Comune e alla Provincia, sostenevamo che esso era un piano senza capo né coda, privo di un’idea chiara ed un progetto pubblico da raggiungere. Un ”finto” piano regolatore che di fatto veniva trasformato in un piano di fabbricazione, tipico degli anni 50/60. Un piano con diverse illegittimità, in quanto non venivano applicate correttamente quelle regole previste dalle leggi urbanistiche, in particolare nelle quattro zone principali.
La zona A (riferita al centro storico), la B (zona di completamento), la C (nuova espansione) e la D ( zona produttiva). Illegittimità che nel prosieguo degli anni si sono dovute correggere. La distanza tra edifici ripristinata da una sentenza del Consiglio di Stato del 02/11/2010 è stata la più eclatante. Le cause del fallimento del PRE possono racchiudersi nelle seguenti considerazioni. Un piano senza rispetto della piena legalità; un piano confuso, equivoco e poco trasparente, senza un’idea chiara da perseguire e da far conoscere, dove si nascondevano altri scopi non detti, quali: il “costruire il più possibile”, il trasformare il Lido in un “villaggio turistico”.
UN PIANO POLITICO, finalizzato ad accontentare più il singolo cittadino che a regolarizzare e armonizzare gli interessi pubblici e quelli privati ( come dovrebbe essere il suo vero scopo). Infine da sottolineare, l’INGENUITA’ o l’ARRETRATEZZA di un nostro modo di pensare, racchiuso nel detto: “ognuno per sé e Dio per tutti”, ritenendo che, perseguendo tutti gli interessi individuali senza tener conto di un contesto generale, questo si traduca comunque in un benessere collettivo. L’applicazione del PRE ha smentito questa mentalità, dimostrando che la sola azione individuale non ben collocata dentro una struttura pubblica funzionale può trasformarsi nell’effetto del “ tutti contenti e tutti fregati”, come si paventò allora. Sulla base di tale esperienza oggi occorre tener conto dei seguenti insegnamenti.a) non lasciarsi coinvolgere emotivamente nel giudicare un piano, atteggiamento che non porta mai bene ad una collettività come dimostrato sopra.
aggiornare il detto sopracitato con ”ognuno per sé e l’amministratore per tutti”, un amministratore che sappia mettere in sintonia l’azione del privato con quella del pubblico;
ritrovare la strada maestra della piena legalità, senza la quale non c’è nessuna speranza per il futuro;
abbandonare le vesti del politico da parte di chi fa l’amministratore per riprendere i panni del buon padre di famiglia.
Mi auguro infine che queste riflessioni siano d’aiuto ai nuovi amministratori per affrontare meglio il rapporto con il nuovo PRG, sperando che essi possano liberarsi di un tabù che ha condizionato l’azione amministrativa degli ultimi 44 anni, cioè la sudditanza del pubblico al privato. Sarebbe ora che la dimensione pubblica tornasse ad essere al centro dell’attività amministrativa e della vita sociale, in modo tale che strade, piazze, parcheggi, marciapiedi, verde e spazi pubblici funzionali e vivibili siano argomenti considerati prioritari da tutti. Chi scrive è convinto che quando la “bandiera del pubblico” sventolerà in alto tanto da essere vista e seguita da tutti noi, allora avremmo imboccato la strada giusta: quella della dignità, del civismo e della speranza di un futuro migliore. (Franco Coccia)