Pescara. “Non intendo polemizzare con il Pro Rettore Trinchese: sia per l’autorevolezza del ruolo e per le competenze che tutti dobbiamo riconoscergli sia perché nel suo intervento sono riuscito comunque a cogliere sottolineature che è impossibile non condividere, come le considerazioni sulla piccolezza complessiva dell’attuale disegno e lo è a tal punto che nel documento presentato nel lontano 2014 nessuno, tra i promotori, ha mai sostenuto che Nuova Pescara dovrebbe costituire l’inizio e la fine del disegno”.
E’ la replica del consigliere comunale Carlo Costantini, tra i principali promotori del disegno della Nuova-Grande Pescara, alle tesi del professor Stefano Trinchese espresse contro la fusione di Pescara, Montesilvano e Spoltore.
“Sin dal primo giorno si è ben spiegato che la fusione di Pescara, Montesilvano e Spoltore è il primo tassello di un progetto con un orizzonte ben più ambizioso: lo stesso orizzonte che ha tratteggiato Trinchese il quale dovrà convenire con me che ciò che ci divide non è il merito, ma il metodo o gli strumenti da utilizzare per raggiungere il medesimo obiettivo”, aggiunge Costantini.
“Noi riteniamo che lo strumento migliore sia quello delineato dall’articolo 133 della Costituzione, che parte dal basso perché consente direttamente alle popolazioni interessate di esprimersi e di vincolare/orientare l’attività dei decisori locali, attraverso consultazioni referendarie. Il professor Trinchese ritiene, invece, che lo strumento migliore sia quello dell’area metropolitana”, incalza Costantini, Di un modello, quindi, completamente diverso che – indipendentemente dagli interventi sulla relativa disciplina operati dal legislatore nel corso degli anni – parte dall’alto e nella sostanza presuppone che i decisori locali volontariamente trasferiscano funzioni amministrative e servizi ad un organismo superiore, per assicurarne in tal modo una gestione associata. Nella scelta tra questi due metodi io mi sono affidato alla storia recente, che ci ha consegnato e continua a consegnarci il sostanziale fallimento delle iniziative basate su scelte volontarie che partono dall’alto: dai vertici delle istituzioni locali e da chi li rappresenta. Gli ultimi 50 anni di storia ci consegnano, infatti, il sostanziale fallimento del modello di area maletropolitana risalente agli anni ‘80, causato proprio dalla incapacità dei singoli livelli istituzionali di privarsi su base volontaria di pezzi di potere per trasferirli ad un organo sovraordinato”.