Civitella del Tronto, il racconto di Dora: deportata ad Auschwitz a 13 anni

Ormai sono poche le testimonianze dirette di chi ha vissuto i campi di concentramento. Una di queste arriva direttamente dalla casa di riposo di Civitella del Tronto.

Dora Demedenko è nata il 7 marzo 1928 a Buda Orlovez, in provincia di Kiev, nell’attuale Ucraina.

È una dolce signora che da giugno risiede nella casa di riposo Filippo Alessandrini di Civitella del Tronto, dove, con l’aiuto di sua figlia e sua nipote, ricorda la sua adolescenza nei campi di concentramento.

Da bambina perse suo padre, arrestato e fucilato dopo aver inveito contro Stalin, tirando una bottiglia sulla sua statua.

Dora nel 1941, a soli tredici anni, fu “strappata” dalla sua famiglia in seguito ai rastrellamenti della popolazione dei Paesi dell’Europa Orientale da parte dei nazisti, in cerca di manodopera per le fabbriche di armi.

L’anziana racconta: “Ero sola in casa e sono stata portata via dai tedeschi, c’era anche il mio fratellino ma non fu preso: era troppo piccolo per lavorare. Ci hanno convogliato in una stazione e siamo stati costretti a salire su delle carrozze adibite al trasporto di bestiame: eravamo diretti ad Auschwitz-Birkenau per lo smistamento.”

Dora narra che durante lo smistamento uomini e donne venivano posizionati in fila. In base al loro stato di salute e alle loro caratteristiche fisiche, veniva scelto il loro destino.

“Ricordo che c’era una donna incinta e un soldato tedesco le diede un calcio sulla pancia” rammenta commossa.

Le persone non considerate idonee erano accompagnate nelle camere a gas, con l’illusione di fare una doccia; mentre quelle ritenute idonee, tra cui Dora, erano destinate a lavorare.

“Sono stata trasferita al campo di concentramento di Dachau: lavoravo in una fabbrica di munizioni e il mio ruolo consisteva nel sigillare i proiettili. Dormivamo dentro delle baracche, a volte anche a terra, come animali, senza né cuscino né coperte, sopra la cenere perché a volte le bombe scoppiavano e bruciavano le baracche. Ogni tanto i soldati tedeschi ci spruzzavano addosso il DDT per la disinfestazione dei pidocchi.”

La signora racconta che i loro pasti erano formati dagli avanzi del cibo dei soldati tedeschi: minestra di “Kartoffeln”. Le zuppe erano composte soprattutto da bucce di patate, con le quali veniva anche preparata una bevanda alternativa al caffè.

Continua Dora: “La domenica potevamo uscire e chiedere qualcosa da mangiare alle famiglie tedesche, così un giorno con altre due ragazzi bussai alla porta di una casa. C’era un uomo che illudendoci ci fece entrare ma ci rinchiuse in una stanza.

Io fortunatamente capivo la lingua tedesca: mi accorsi che quell’uomo stava dicendo alla moglie di prendere i coltelli per “farci una festa e darci in pasto ai maiali”. Scappammo da una finestra, ma io ero l’ultima ad uscire e quell’uomo rincorrendoci mi tagliò un tallone.”

L’anziana ricorda anche che nella fabbrica di bombe ha conosciuto quello che poi è diventato il suo futuro marito: Di Saverio Tullio, soldato italiano fatto prigioniero in Grecia e deportato lì per lavorare.

L’uomo le regalò parte della sua coperta di lana e, durante il cambio del turno lavorativo, le nascondeva dentro un cassetto un pezzo di pane.
Un giorno del 1945, finalmente, si aprirono i cancelli e una voce ai megafoni annunciò che la guerra era finita: erano tutti liberi.

Dora e Tullio incorniciarono il loro amore sposandosi al comando militare così da potersi trasferire in Italia.

A Colonnella, tramite la Croce Rossa, Dora riuscì a rintracciare la sua famiglia d’origine, imparò a leggere e scrivere in italiano, si dilettò in diversi lavori e formò la sua nuova famiglia.

Rivide la madre nel 1960 quando tornò nel suo paese natio, con suo marito e sua figlia di quattro anni.
Ora l’anziana è circondata dall’affetto e dall’amore dei suoi familiari e del personale della casa di riposo Filippo Alessandrini .

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