Montesilvano, locali abusivi e intimidazioni: salta la nuova sede per la Protezione Civile

Montesilvano. Locali inagibili e assenza dei requisiti: salta il trasferimento della Protezione Civile nella villetta confiscata ai rom in via Adige.

Ieri era stato effettuato un sopralluogo da parte del Comune insieme ai responsabili del Corpo volontari, al termine del quale l’assessore De Martinis aveva diramato un comunicato a confermare la prosecuzione dell’iter per far diventare lo stabile di via Adige, confiscato anni fa a una famiglia rom, nuova sede della Protezione Civile.

Oggi, invece, la smentita con una nota del Corpo: “Era solo un sopralluogo atto a valutare l’idoneità dei locali per un eventuale trasferimento dell’associazione. Trasferimento che, malgrado la nostra buona volontà nel venire in contro al trasloco dall’attuale sede di via Calabria richiesto dal Comune in virtù della cessazione del contratto di locazione in data 30 ottobre prossimo, è impossibile data la totale assenza dei requisiti tecnicoburocratici e operativi indispensabili per la gestione della attività emergenziali e la permanenza dei volontari”.

“Sulla base del sopralluogo effettuato – sottolinea Andrea Gallerati, presidente del Corpo volontari Protezione civile Montesilvano – è emerso come nella casa di via Adige manchino agibilità e abitabilità, per non parlare dell’assenza di certificazione dell’impianto elettrico e idraulico. Tra l’altro, lo stesso dirigente comunale del settore Pianificazione e Gestione territoriale Valeriano Mergiotti ha precisato all’assessore comunale alla Protezione civile Ottavio De Martinis, che non sarà cosa semplice e rapida sistemare gli aspetti burocratici”.

Secondo Gallerati, “la famiglia rom, che occupava precedentemente lo stabile,ha svolto lavori abusivi all’interno della casa le cui stanze non corrispondono alla piantina in possesso dal Comune di Montesilvano: i 70 metri quadri dell’abitazione, suddivisa in cinque stanze (soggiorno, due stanze e due bagni di cui uno abusivo), non corrispondono minimamente ai requisiti richiesti per lo svolgimento della attività operative attualmente in essere con gli enti in convenzione, ovvero la Protezione Civile della Regione Abruzzo per le attività del settore in caso di emergenze e calamità naturali, il 118 Abruzzo per il trasporto degli infermi e Autostrade per l’Italia per il servizio di assistenza agli utenti in caso di gravi incidenti stradali”.

“Ad esempio”, precisa ancora Gallerati, “i requisiti previsti per il rilascio dell’autorizzazione sanitaria regionale per il trasporto infermi, prevedono la presenza di una stanza per il direttore sanitario, di una seconda per la sosta del personale e di una terza in cui differenziare il materiale sporco da quello pulito. Per rientrare in questi parametri abbiamo faticato nei 100 metri quadri di via Calabria, figuriamoci nei 70 di via Adige”.

Altra nota dolente, l’impossibilità di parcheggiare i nove automezzi associativi (3 fuoristrada, 4 autovetture, un furgone per il trasporto disabili e un’ambulanza) in via Adige, per parcheggiarli incustoditi nel cortile di Palazzo Baldoni dall’altro capo della città: “Non si può chiedere”, lamenta il presidente dell’associazione di volontariato, “a un gruppo di Protezione civile di decentrare automezzi e materiali in altri spazi, costringendo i volontari a raggiungerli per ogni servizio con i mezzi propri a loro spese”. Il cortile di Palazzo Baldoni in questione è quello posteriore, affacciato su una piazza Montanelli priva di sorveglianza nelle ore notturne, e circondato da una recinzione bassa: “Facilmente scavalcabile”, aggiunge Andrea Gallerati,  “da eventuali malintenzionati, intenti a commettere atti vandalici sui mezzi acquistati attraverso il sacrificio di decine di volontari in quasi otto anni di attività”.

“In ultimo, nella casa di via Adige sarebbe a rischio la sicurezza stessa dei volontari: “Sono cosa nota”, ricorda Gallerati, “le minacce e le intimidazioni inviate al Comune dai precedenti occupanti dei locali, in riferimento all’eventuale riassegnazione della casa e non vuol essere certo la nostra associazione a correre il rischio di pagarne le conseguenze, sulla pelle dei volontari e delle loro famiglie, che comprometterebbero lo svolgimento delle nostre attività a discapito degli stessi cittadini. Non basta una telecamera per fermare i violenti”.

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