La diagnosi precoce e i meccanismi della malattia di Alzheimer sono l’obiettivo della medicina da decenni. Un nuovo studio potrebbe cambiare le cose
L’Alzheimer è una malattia terribile, una bestia che cancella la memoria, gli affetti più cari e, con il passare del tempo, anche l’autonomia del paziente, il suo modo di vivere la vita e la sua personalità. La patologia neurodegenerativa purtroppo ancora oggi colpisce moltissime persone in Italia, non sempre così anziane e in Europa rappresenta il 54% di tutte le demenze.
La ricerca è sempre più attiva per capire in toto come funziona – anche se in quel senso siamo a buon punto – e soprattutto per migliorare i processi di diagnosi. Avere una cura è il passaggio più difficile. Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine ha fatto emergere elementi veramente importanti, che potrebbero essere fondamentali per aiutare molte persone. Il lavoro si è concentrato su alcune firme biologiche dell’Alzheimer, seguendo a stretto giro di posta migliaia di persone per anni.
Come predire l’Alzheimer diciotto anni prima: lo studio fa chiarezza sui segnali predittivi
Si è scoperto che la variazione di determinati biomarcatori, fondamentale per instaurare la malattia, arriva molto prima della comparsa dei veri e propri sintomi, addirittura quasi 20 anni – si va dalla perdita di memoria, sensazione di smarrimento e declino cognitivo a una difficoltà nel linguaggio e quindi nella comunicazione. Ma quali sono questi passaggi biologici a cui bisogna prestare attenzione?
Si tratta dell’alterazione del tessuto cerebrale a certi livelli e della concentrazioni di proteine specifiche, le placche di beta amiloide e i grovigli di proteina tau, tutti marcatori in grado di predire il futuro del nostro cervello e le sue connessioni. Nel corso dello studio, è stata osservata la forma sporadica dell’Alzheimer, quella maggiormente diffusa.
Il concetto di firme biologiche di una malattia non è affatto nuovo, anzi da anni si cercano questi segnali per predire la direzione del nostro stato di salute. Queste evidenze scientifiche, però, sono particolarmente importanti e potrebbero essere la svolta di un percorso di cura che parta dalla prevenzione e offra la possibilità di avere una diagnosi il prima possibile, in modo da rendere più efficaci le cure. E quei quasi 20 anni di follow-up dei pazienti, sottoposti a esami non così scontati, sono pur serviti a qualcosa, anzi potrebbero salvare la vita di tante persone.