Cosa può fare un dipendente che non riceve regolarmente la retribuzione? Ti spieghiamo tutte le opzioni possibili se ciò ti accade.
In un rapporto di lavoro ci sono diritti ed obblighi sia da parte del datore di lavoro e sia del dipendente. Il diritto principale di ogni dipendente è quello di vedersi pagata la retribuzione mensile, così come prevista dal contratto individuale e dalla contrattazione collettiva. A fronte di ciò, il lavoratore si impegna a svolgere con diligenza le mansioni affidategli, a mantenere l’assoluto riserbo sulle informazioni apprese in azienda e a non fare concorrenza al capo. Ma cosa dice la legge nel caso in cui il capo non paga lo stipendio?
Solitamente, il pagamento della retribuzione deve avvenire ogni mese, anche se è possibile concordare tempi diversi, purché si rispetti il termine ultimo entro cui va versata la busta paga stabilito dal contratto collettivo nazionale (CCNL) di riferimento. Oltre tale data, il datore di lavoro è automaticamente in mora ed è tenuto a versare gli interessi al proprio dipendente, anche se questi non glieli ha chiesti.
Nella maggior parte dei casi, i Contratti collettivi nazionali prevedono il pagamento entro il giorno 10 del mese successivo a quello lavorato, ma non esiste una regola valida per tutti i contratti collettivi nazionali di categoria. In assenza di CCNL si deve far riferimento agli accordi aziendali. Se in nessuna di tali fonti è stabilita la data di pagamento dello stipendio, questo va accreditato alla fine di ogni mese, ossia il giorno 30 o il 31 del mese.
Se il pagamento dello stipendio subisce un ritardo, il dipendente ha diverse opzioni per ottenere il dovuto. Innanzitutto, può inviare una comunicazione al datore di lavoro tramite raccomandata con ricevuta di ritorno (racc. a/r) o posta elettronica certificata (pec), chiedendo bonariamente il pagamento dovuto. In alternativa (o in successione) può inviare una lettera di avvertimento firmata da un avvocato, minacciando di intraprendere azioni legali.
Un’altra possibilità è avviare un tentativo di conciliazione attraverso l’Ispettorato del lavoro, presentando un reclamo all’ufficio territorialmente competente. Inoltre, il dipendente può richiedere una conciliazione con il supporto dei sindacati del lavoratore e dell’azienda. Questa procedura genera un accordo scritto che ha valore esecutivo ma non comporta sanzioni per l’azienda.
Se la situazione diventa più critica, il dipendente può optare per una richiesta di decreto ingiuntivo presso il tribunale. Questa procedura richiede la necessaria assistenza di un avvocato e implica la presentazione del contratto di lavoro come prova scritta del credito. Se il giudice accetta la richiesta, emetterà un decreto di ingiunzione basato sulla base documentazione fornita, senza convocare l’altra parte.
Questo decreto viene notificato all’azienda entro 60 giorni, e il datore di lavoro ha 40 giorni di tempo per opporsi o effettuare il pagamento, includendo eventuali interessi e rivalutazione monetaria. Se nessuna delle due azioni viene intrapresa, è possibile procedere al pignoramento dei beni dell’azienda.
Il mancato pagamento della retribuzione giustifica le dimissioni del dipendente, ma bisogna fare attenzione. Infatti, secondo la Cassazione, le dimissioni del lavoratore sono legittime solamente se l’inadempimento del datore è grave e reiterato. Ciò significa che il mancato pagamento di una sola mensilità potrebbe non giustificare le dimissioni del dipendente.
Per legge tutti i datori di lavoro hanno l’obbligo di consegnare la busta paga che riepiloga mensilmente il rapporto tra dipendente e datore, riassumendo tutte le voci che compongono lo stipendio finale. Qualora la consegna della busta paga subisca ritardi il datore di lavoro è soggetto a sanzioni amministrative che vanno da 150 a 900 euro. Se la violazione coinvolge più di 5 lavoratori o si estende per più di 6 mesi, la sanzione varia da 600 euro a 3.600 euro; se riguarda più di 10 lavoratori o un periodo superiore a 12 mesi, l’ammenda è di 1.200-7.200 euro.