Chieti. Chieti perde imprese sia in centro storico che in periferia. Confcommercio chiede aiuti per i settori maggiormente colpiti ed una profonda rigenerazione urbana.
La città di Chieti ha perso 36 imprese nel Centro Storico e 31 aziende nelle altre zone del Colle e dello Scalo negli otto anni compresi tra il 2012 ed il 2020. E’ quanto ha fotografato l’Osservatorio sulla demografia delle imprese istituito da Confcommercio a livello nazionale. Uno strumento prezioso per testare lo stato di salute delle piccole e medie imprese oltre che di quelle ambulanti. Nel dettaglio, tra il 2012 e il 2020, in Italia si è assistito ad un lento ma inesorabile processo di desertificazione commerciale e sono sparite, complessivamente, oltre 77 mila attività di commercio al dettaglio e quasi 14 mila imprese di commercio ambulante. A Chieti città, uno dei 120 capoluoghi italiani messi sotto la lente di ingrandimento dall’Osservatorio di Confcommercio, le cose non sono andate meglio per quanto riguarda gli affari delle attività commerciali suddivise in 11 categorie merceologiche, ovvero: alimentari non specializzati, alimentari specializzati, rivendite tabacchi, farmacie, carburanti, computer e telefonia, libri e giocattoli, vestiario e calzature, mobili e ferramenta, commercio ambulante, altro commercio, alberghi ed attività di ristorazione. Ebbene, negli ultimi otto anni il Centro Storico ha perso 36 imprese mentre 31 aziende hanno abbassato le serrande al di fuori del centro città. Scorrendo i dati resi noti dal Centro Studi di Confcommercio negli ultimi due anni emerge, invece, che sono state 11 le imprese che hanno chiuso i battenti in Centro e 20 nel resto del capoluogo teatino. In controtendenza, nel raffronto 2012/2020, le categorie degli alberghi, dei bar e dei ristoranti, con un segno positivo di 4 nuove imprese in Centro Storico e di 19 in quello che il Centro Studi di Confcommercio definisce “Non Centro Storico”. Rispetto al 2018, inoltre, nel Centro Storico è stata persa 1 impresa mentre nei restanti quartieri cittadini hanno visto la luce 6 nuove imprese. Il sesto studio dell’Osservatorio di Confcommercio, nato nel 2015, è stato ovviamente caratterizzato, in negativo, dalla pandemia Covid-19 che ha determinato una differenza, spesso sottile, tra la mortalità sostanziale delle imprese e la loro cancellazione formale. Nel 2020, infatti, a Chieti si è registrato un tasso di cancellazione relativamente basso che farebbe pensare che la città abbia retto l’urto della crisi o che in alcuni settori sia andata addirittura meglio, ma in realtà si è assistito ad una sorta di congelamento delle aziende, con un’ibernazione del tessuto produttivo attraverso il blocco dei licenziamenti, il ricorso alla Cassa integrazione ed alle promesse di ricevere ristori da parte del Governo. In verità molte imprese, seppur ancora iscritte ai registri, sono già chiuse e non operano e non opereranno mai più con questo riflesso negativo che si materializzerà, però, soltanto a fine 2021. Quando, sottolinea Confcommercio, ci saranno i veri trend di natalità-mortalità del commercio nei Centri Storici delle città italiane, con uno sguardo a come potrebbero apparire dopo una pandemia capace di cancellare negozi fissi ed ambulanti colpendo letalmente tutti quei settori merceologici vocati al turismo, alle relazioni sociali, alla convivialità, alla ricreazione ed alla cultura.
“Se ieri il quadro era caratterizzato da meno commercio e da più turismo, domani probabilmente- avverte Marisa Tiberio, presidente provinciale Confcommercio Chieti- sarà meno commercio e meno turismo con inediti problemi di equilibrio nella vita sociale dentro le città e in particolare dentro i Centri Storici. Il nostro problema oggi è che a causa dell’ibernazione dell’economia non siamo in grado di valutare immediatamente la riduzione ulteriore di tessuto commerciale che ci aspetta e che impatterà sulle città, specie in quelle a maggiore vocazione turistica.” Una delle difficoltà maggiori incontrate dal commercio ha riguardato i canoni di locazione, in quanto per gli esercenti è stato a dir poco complicato sostenere i costi fissi, soprattutto durante i vari lockdown o chiusure parziali e/o intermittenti stabilite dal Governo. Con le città deserte è stato difficile far girare l’economia e, di conseguenza, consentire ai commercianti di guadagnare e pagare gli affitti. Anche per i pubblici esercizi che, dati del Centro Studi di Confcommercio alla mano, sembra abbiano avuto una performance migliore rispetto al commercio fino al 31 dicembre 2020, il futuro costituisce un’incognita difficile da decifrare: la ripresa del settore dipenderà sia dal livello dei ristori, sia dalla capacità delle singole aziende di intraprendere iniziative di cambiamento della gestione dell’impresa, come la garanzia di sicurezza, l’asporto, il canale virtuale ed un deliverj efficace ed efficiente, con un decisivo upgrade agli standard attuali. “Per fermare la desertificazione commerciale delle città bisogna agire su due fronti: da un lato sostenere le imprese più colpite dai lockdown e introdurre finalmente una web tax- riprende Tiberio- che risponda al principio “stesso mercato, stesse regole”. Inoltre bisogna mettere in campo un urgente piano di rigenerazione urbana che faciliti la digitalizzazione delle imprese e sia capace di rilanciare i valori identitari delle nostre città.”