In busta paga c’è sempre qualche sorpresa. La retribuzione lorda non rappresenta mai la somma effettivamente erogata al lavoratore.
Una parte della retribuzione lorda presente in busta paga finanzia le prestazioni previdenziali e assicurative, cioè i contributi. E poi un’altra parte di quella somma viene decurtata a titolo di trattenute fiscali a favore dello Stato. C’è tutto scritto in busta paga, anche se alla maggior parte dei lavoratori non è così chiaro come funziona. Pochi stipendiati, in effetti, riescono a decifrare agevolmente quel complesso documento chiamato busta paga.
E la faccenda si fa ancora più complessa quando a qualcuno viene voglia di interpretare il valore e il peso delle voci relative alle trattenute sullo stipendio. Saper leggere la busta paga è tuttavia fondamentale per assicurarsi che i propri diritti di lavoratore vengano rispettati. E non solo. Si tratta anche di poter capire come gestire le proprie entrate e mettere in atto strategie opportune per poter diminuire il peso specifico finale delle già citate trattenute.
La busta paga è in genere suddivisa in quattro sezioni principali. La prima parte contiene i dati anagrafici del datore di lavoro e del lavoratore. Dopodiché compaiono le cifre relative alla retribuzione del lavoratore. Nella terza parte vengono riportate le ritenute, che comprendono trattenute fiscali e previdenziali. Nell’ultima sezione, la busta paga mostra un calendario delle presenze del dipendente, con le relative ore effettive di lavoro, le assenze, i permessi e le ferie maturate.
Tale schema è stato introdotto nel Dopoguerra, con la legge n. 4 del 1953. Da quel momento in poi, la norma statale ha stabilito che in ogni busta paga dovessero essere elencate altre voci integrative rispetto al valore della retribuzione. Fondamentalmente le ritenute fiscali e previdenziali relative a un periodo specifico.
Le principali trattenute in busta paga per i lavoratori dipendenti in Italia includono infatti i contributi previdenziali, l’IRPEF e le addizionali regionali e comunali. I contributi previdenziali sono versati all’INPS e il più delle volte corrispondono al 33% della retribuzione. Di questa percentuale il 9,19% è a carico del lavoratore mentre il resto a carico del datore di lavoro.
L’altra trattenuta importante è l’IRPEF, cioè l’imposta sul reddito delle persone fisiche, un’imposta calcolata con aliquote progressive in base al reddito percepito. Dopo la riforma voluta dal Governo Meloni, le aliquote sono quattro. Pagano il 23% i redditi fino a 15.000 euro. L’aliquota sale al 25% per i redditi tra 15.001 e 28.000 euro. La terza aliquota è del 35% per i redditi tra 28.001 e 50.000 euro. Poi c’è l’aliquota del 43% per i redditi oltre 50.000 euro. Addizionali regionali e comunali sono imposte aggiuntive che variano in base alla Regione e al Comune di residenza.
Esistono diversi modi per poter recuperare parte della somma decurtata dallo stipendio lordo. La strategia più funzionale rimanda allo sfruttamento delle detrazioni fiscali. Ogni lavoratore, in base al proprio reddito e al proprio stato familiare, potrebbe aver diritto ad agevolazioni fiscali per poter ridurre il peso delle imposte sul lavoro. Ci sono detrazioni per familiari a carico, per le spese mediche, per gli interessi su mutui, per i lavori di ristrutturazione, eccetera…
L’altra strategia funzionale riguarda l’uso di fringe benefit, ovvero quei benefit aziendali, come buoni pasto, bonus o auto aziendali, che possono essere esenti da tassazione e, di conseguenza, possono far aumentare il reddito netto del lavoratore dipendenti.
Vantaggi fiscali possono essere ottenuti anche attraverso i contributi volontari a fondi pensione integrativi. Bisogna infine informarsi su esoneri contributivi o riduzioni del cuneo fiscale che potrebbero essere applicabili alla propria specifica situazione.