L’Aquila. Quanto e come l’esposizione all’eccezionale livello di stress determinato dalla pandemia Covid-19 modifica la capacità decisionale under pressure, in particolare di personale sanitario e personale operante nella pubblica sicurezza, nelle situazioni critiche?
Di fronte a una decisione di livello critico, come scegliere ad esempio quali pazienti trattare in priorità, o a quali interventi assegnare priorità, si modifica il livello di empatia dei decisori che operano in prima linea? Le cronache da tutto il mondo hanno riferito di molti casi in cui decisori di prima linea si sono trovati a dover fare una scelta, e si parla di scelte che hanno determinato la sopravvivenza o meno delle persone coinvolte. Cosa determina queste scelte?
A queste domande fornisce alcune risposte uno studio del gruppo di ricerca di Epidemiologia e Neuropsicologia Clinica dell’Università dell’Aquila, coordinato dai professori Monica Mazza, neuropsicologa, e Marco Valenti, psichiatra epidemiologo, con la collaborazione della prof.ssa Michela Sarlo, psicologa dell’Università di Urbino. Lo studio ha coinvolto un significativo campione nazionale di oltre 1300 persone, che hanno aderito alla compilazione su piattaforma web di un questionario strutturato e validato.
Ai partecipanti è stato chiesto di esprimere un giudizio in merito a diversi scenari in cui la persona si trova di fronte a due principi morali, in opposizione tra loro, che implicano una presa di decisione: massimizzare il bene comune secondo la logica del calcolo costi-benefici o decidere per l’incondizionato rispetto di una regola morale, a prescindere dalle conseguenze. Una metodologia propria dei cosiddetti dilemmi morali, il cui notissimo prototipo cult è il “carrello ferroviario killer”.
Nello studio sono state messe a confronto due delle categorie professionali di prima linea nell’emergenza, e cioè operatori sanitari e agenti di pubblica sicurezza. I risultati preliminari dimostrano che ad influenzare i processi decisionali intervengono variabili quali il coinvolgimento personale, in termini di minaccia alla propria incolumità, e l’azione compiuta per la garanzia di un “bene più grande”. I professionisti medico-sanitari, optano per la salvaguardia di un maggior numero di persone se ciò implica il sacrificio di un singolo come conseguenza prevedibile ma non direttamente voluta. Una differenza tra le due categorie professionali emerge anche nelle situazioni emergenziali in cui la presa di decisione determina il sacrificio del singolo come mezzo per garantire la salvaguardia di un maggior numero di persone. Infatti, in questi scenari, il personale operante nella pubblica sicurezza ha una maggiore probabilità, rispetto al personale medico-sanitario, a prendere decisioni di tipo utilitaristico.
Il confronto tra le due categorie professionali ha mostrato anche sostanziali differenze nella valutazione soggettiva dell’esperienza emozionale percepita durante la presa di decisione. Gli operatori sanitari infatti, riportano una maggiore prevalenza di emozioni negative ed una più intensa attivazione emozionale. Al contrario, le figure operanti nel settore della pubblica sicurezza, mostrano una maggiore convinzione nella presa di decisione di natura morale, indice di una modalità di pensiero razionale, in grado di operare una scelta improntata alla salvaguardia del bene collettivo, con un costo emozionale minore rispetto agli operatori sanitari. Ciò è confermato anche dagli elevati punteggi ottenuti dalla categoria sanitaria ai test che indagano lo stress percepito, l’ansia e l’empatia.
Appare quindi fondamentale monitorare e salvaguardare la salute psicofisica di quelle figure professionali maggiormente impegnate nella lotta contro il COVID-19, al fine di prevenire lo sviluppo di una sintomatologia ansioso-depressiva o la comparsa di un disturbo post traumatico da stress.