Il fondo privato della famiglia Delfico, poi De Filippis Delfico, conservato presso l’Archivio di Stato di Teramo ha restituito un manoscritto del 1817 scritto da Gregorio De Filippis alla giovane età di sedici anni.
Si tratta di una pubblicazione sull’origine e degenerazione della Terra che “oggi, in un periodo di reclusione domiciliare, chiamata “lockdown”, necessitata dalla diffusione di un’altra epidemia, quella del Covid, assume un particolare significato simbolico ed emotivo, restituendo al tempo stesso a questa prima prova grafica di un intellettuale dell’Ottocento teramano una freschezza che non si è persa nel corso dei decenni, punteggiata dalle annotazioni quanto mai brevi, essenziali, quasi da appunti da sviluppare in un secondo momento, nel seguire i passi essenziali delle Sacre Scritture, dalla creazione del mondo in sette giorni al diluvio universale, considerato come un presagio di una fine futura dell’umanità, solo rimandata”, si legge in una nota dello studioso Loris Di Giovanni che ha trascritto e pubblicato con una introduzione, insieme ad Elso Simone Serpentini, il ‘Nuovo saggio specolativo sulla origine e degenerazione della Terra’. Il volume, edito da Artemia Nova Editrice di Teresa Orsini, è arricchito dalla prefazione dell’avo di Gregorio, il professor avvocato Mauro Norton Rosati di Monteprandone De Filippis Delfico, Rettore del Centro Studi Delfico Foundation.
“Gregorio nacque a Napoli all’inizio del secolo XIX da Trojano de Filippis, conte di Longano e da Aurora Cicconi, di famiglia patrizia teramana, originaria di Morro d’Oro. Gregorio De Filippis fu nel 1820 sposò Marina Delfico, figlia di Orazio e di Diomira Mucciarelli, patrizia ascolana, nonché nipote di Melchiorre Delfico. Da quel momento in poi nasce il doppio cognome De Filippis Delfico. Tra le opere di Gregorio De Filippis Delfico, lo scritto giovanile presenta certamente caratteri stilistici dettati dalla generale conoscenza filosofico-scientifica di un giovane del ceto medio-alto al quale egli apparteneva. Lo scritto dovette essere abbandonato prima del tempo, forse quando vennero meno le ragioni e le circostanze che avevano indotto l’autore a intraprendere il lavoro: la grande quantità di tempo a disposizione in un periodo di reclusione domestica e di isolamento resi necessari dall’epidemia di tifo petecchiale che infuriava a Napoli come in tutte le province del Regno. L’epidemia andò sparendo nelle primavera del 1818 e le necessità di isolamento e di reclusione domiciliare per evitare il contagio vennero meno. Forse proprio per la sua incompiutezza questo scritto giovanile venne trascurato e né l’autore né i suoi familiari ed estimatori pensarono mai di pubblicarlo, anche dopo la sua morte, lasciandolo finora inedito”.