Pescara, la Sinfonia letteraria di Ennio Morricone sull’arte di Giuliano Cotellessa

Giuliano Cotellessa fin dall’adolescenza respira l’arte attraverso il padre, il pittore figurativo Nicola Cotellessa, e il nonno Giuseppe Cotellessa, professore di disegno presso le scuole superiori. Consegue il diploma di maturità quinquennale presso il Liceo Artistico Statale di Pescara dove è stato allievo dell’artista di fama internazionale Ettore Spalletti da cui apprende la lezione della luce, della forma e del colore. Successivamente frequenta la facoltà di Architettura della città adriatica. Da ragazzo è vicino agli ambienti ecclesiastici dove ha modo di conoscere cardinali, vescovi e alcuni frati dell’Ordine Francescano che lo indirizzano nella vita spirituale e artistica. Svolge il servizio militare nel Battaglione San Marco come incursore della Marina Militare. Terminata la parentesi del militare rimane a Roma, dove frequenta le gallerie di punta e i musei. Conosce tra gli altri i pittori Tano Festa ed Enrico Manera, esponenti di spicco della cosiddetta Pop Art romana, e Piero Dorazio, fondatore del Gruppo Forma 1. Nel corso degli anni rincontrerà più volte il pittore Dorazio e andrà anche a trovarlo alcune volte nel suo studio di Todi.

Riportiamo di seguito il pensiero di Ennio Morricone sull’Artista in un suo testo critico dal titolo “Musica e Pittura”.

“La pittura di Giuliano Cotellessa, classe ‘62, artista pescarese, colpisce il visitatore per la violenza dei contrasti cromatici e l’enigma delle costruzioni formali. Ciò potrebbe definirsi in ambito neo o post impressionistico, il che appare alquanto riduttivo o parziale rispetto alla ricerca coerente e puntigliosa che contraddistingue l’artista fin dalle sue prime opere, forse l’interrogarsi troppo sulle intenzioni più o meno esplicite di un artista, oppure rivangarne quasi ossessivamente il terreno operativo alla ricerca d’introvabili semi e concimi, non è la strada giusta. Anche perché l’artista stesso il più delle volte non si preoccupa di conoscere identità e personalità del suo fruitore nella stessa misura in cui questo si preoccupa delle sue.

Ogni artista mostra in vario modo la sua essenza creativo-espressiva e nel caso di Cotellessa sembra evidente la ricerca di omogeneità e sintesi qualitative, disdegnando vistosamente le ripetizioni ripetitive di certi notissimi artisti contemporanei. In Cotellessa infatti l’omogeneità non è ripetizione sic et simpliciter così come la sintesi non è pauperismo banale; è la sua stessa vita (in apparenza alquanto solitaria ma in realtà densa di amicizie e colleganze ben selezionate) a porsi in discussione, direi proprio in senso molto democratico ed anche categorico, attraverso i tanti accadimenti quotidiani e il vario affollarsi di sensazioni momentanee ma ben interiorizzate. “L’uomo e il pittore sono la stessa persona” (R. Franco) ma nel nostro appare anche, per sua stessa ammissione, la fatica e la sofferenza che gli procura ogni singola opera, sia in ambito fisico che psichico. Ma, come già detto, qui non si tratta di mera banalità o deriva od altro, ma di schietta e pervicace sintesi di sé proiettata intensamente in un divenire drammatico che nei fatti scuote acune certezze estetiche consolidatesi nei secoli nell’ambito della cultura occidentale.

In tutte le opere di Giuliano Cotellessa, vi è una costante paradigmatica fatta di colori imposti e giustapposti, quasi a volersi separare dalle forme chiuse; così come queste ultime sembrano muoversi nello spazio loro assegnato, noncuranti delle colorazioni ad esse assegnate. E’ una battaglia di elementi ed emozioni, primi piani e sfondi, armonie e cacofonie, ecco in questa ultima dicotomia riaffacciarsi la “realtà musicale”, che metto fra virgolette perché in effetti l’arte dei suoni (banale ma efficacemente sintetica definizione di “musica”) è qualcosa di più complesso, è manifestazione creativa irrazionale ed astratta per costruzione naturale, essa è inafferrabile ed al tempo stesso la più profonda a penetrazione dell’intimo di ciascuno; tale inafferrabilità/profondità è proprio la caratteristica portante della poetica di Cotellessa, che non a caso si abbevera alle “misteriose fonti” della musica. In tal senso mi trovo ben d’accordo con Antonio Gasbarrini: “l’impronta astratto-impressionistica di Cotellessa” si inserisce nel secolo di una “astrazione calda dove l’eco del primo imprinting (Beuys, Klee, Malevic, Mondrian) è smorzato con soluzioni formali rinnovate attraverso un selvaggio florigio visivo” (2008)

“L’astrattismo concettuale” di Giuliano Cotellessa (puntuale sintesi della sua azione pittorica) si è ispirato – per diretta dichiarazione dell’artista – ad undici colonne sonore di mia creazione per altrettanti film: I Promessi Sposi (1994) drammatico, dal romanzo di Alessandro Manzoni; La tenda rossa di Michail K. Kalatzov (URSS – 1969) drammatico; Giù la testa di Segio Leone (1971) avventura; Questa specie di amore di Alberto Bevilacqua col brano “Roma Baldracca” (1972) drammatico; L’orca assassina di Michael Anderson (USA 1977) avventura; C’era una volta in America di Sergio Leone (USA 1984); Gangster, dal romanzo “Mano armata” di Harry Gray; Mission di Roland Joffrè (GB 1986) drammatico; La leggenda del pianista sull’oceano di Giuseppe Tornatore (1988) drammatico; L’uomo proiettile di Silvano Agosti (1995) grottesco, brano “Tema d’amore”; Canone inverso di Ricki Tognazzi (2000) drammatico.

La sottile variegazione tra avventura e dramma, grottesco e gangster, delle mie musiche si trasferiscono in vario modo e grado nelle pitture visionarie o realistiche di Cotellessa”. (Ennio Morricone)

 

(Da una nota e fotografia di Leonardo Paglialonga)

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