Pescara. Pat Metheny, una delle maggiori star contemporanee del jazz internazionale, è atteso il 24 luglio al Teatro D’Annunzio di Pescara. L’evento è inserito all’interno del PeFest nel cartellone del Pescara Jazz fuori abbonamento ed è promosso dall’Ente Manifestazioni Pescaresi in collaborazione con Alhena Entertainment e Ventidieci.
L’artista ci ha gentilmente concesso un’intervista.
– Il prossimo 24 luglio sarà sul palco in Abruzzo all’interno del Pescara Jazz, un festival jazz che nel corso degli anni si è confermato un gran palcoscenico. Che tipo di pubblico e che tipo di serata si aspetta? Ci può dare qualche anticipazione suo spettacolo?
– “Ho suonato per la prima volta al Pescara Jazz nella Pineta. Ricordo bene quel 18 luglio del 1991 perché la sera ci è venuto fuori un concerto perfetto. La pineta, la bella serata, le zanzare debellate con la citronella, le stelle, il pubblico attento e caldo, l’organizzazione efficiente e gentile… tutti contenti, non posso che confermare quanto dici: un buon palco per una serata di successo. Da allora infatti il festival mi ha sempre invitato quando sono in tour d’estate in Europa. E io sono sempre tornato a ritrovare ogni volta lo stesso clima della prima; nel 1993 con Joshua Redman, Christian McBride e Billy Higgins, nel 1999 con Larry Granadier e Bill Stewart al D’Annunzio, nel 2004 con Christian McBride e Antonio Sanchez, nel 2007 con Brad Mehldau, nel 2008 con Gary Burton, nel 2010 col Pat Metheny Group. Mi aspetto un pubblico pronto ad ascoltare un quartetto collaudato che suona la mia musica di ieri e quella che ho composto per questo tour, pronto a riscoprire Antonio Sanchez alla batteria e ascoprire la maestria di Linda Mai An Oh al contrabbasso e di Gwilym Simcock al pianoforte”.
– Nel corso della sua carriera ha avuto molti consensi di critica e di pubblico, anche quando ha affrontato nuove esperienze. Secondo lei quali elementi hanno creato empatia con gli ascoltatori?
– “Penso che dipenda dalla qualità della mia musica e penso anche che abbia contribuito molto la mia curiosità per la musica al di là dei generi, la mia coerenza nel seguire l’ispirazione, ovunque mi conducesse e non le mode”.
– La sua produzione la vede impegnata come solista, con duetti e anche in gruppo. Come si adatta mentalmente e musicalmente a queste diverse situazioni?
– “Quando scrivo uso il pianoforte sul quale posso provare arrangiamenti diversi della melodia. Già questo mi permette di sentirla nella sua purezza, di raggiungerne il cuore. Così, suonarla con qualsiasi tipo di formazione diventa semplice quando chi suona con te è un maestro in grado di fare lo stesso”.
– In conclusione, è noto, tra le altre cose, per essere il leader e il fondatore del gruppo Pat Metheny. Cosa ha reso questo gruppo noto e riconoscibile al grande pubblico?
– “L’esperienza con il Group è stata travolgente, centinaia e centinaia di concerti in tutto il mondo, il tempo di ideare un nuovo album e poi di nuovo in tour. In questo turbine abbiamo saputo cogliere lo spirito che si nutre della diversità culturale. Qualcuno, tanto per dare un’etichetta alla nostra musica l’ha catalogata nel genere World Musica, altri nella New Age ma noi l’abbiamo sempre vissuta come il discorso che il mondo ci ha ispirati durante I trentatre anni del nostro viaggio tra le città della Terra”.
Francesco Rapino